Coronavirus | Anziano scrive lettera a figli e nipoti prima di morire

Un anziano signore morto per coronavirus all’interno di una casa di riposo assistita lascia a una suora una lettera per figli e nipoti

nonno coornavirus
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Curve che salgono, curve che scendono, picchi che non arrivano, mascherine sì mascherine no, distanze di sicurezza, fase 1, fase 2, fase 3.

Che cosa occupa la nostra mente oltre il Coronavirus? Il pericolo incombente monopolizza la nostra mente, il nostro cuore e oscura tutto ciò che è intorno.

Ecco allora che qualcosa sfugge inevitabilmente alla nostra attenzione. Ricordate che ci sono altri malati, quelli non contagiati dal Coronavirus? Ci siamo dimenticati dei bambini con disabilità, come quelli affetti da autismo costretti a inventarsi un nastro blu per uscire di casa, ma anche delle donne vittime di violenza, quelle per cui #iorestoacasa non è un hashtag rassicurante.

E poi ci siamo dimenticati di loro, gli anziani. Già, avevamo capito subito che erano i più fragili, le prime vittime del COVID 19, ma per qualche motivo poi li abbiamo lasciati da parte.

Il virus si è fatto allora strada nelle case di riposo, nelle cliniche, ha mietuto vittime, ha ampliato i contagi colpendo il personale. Ma noi ce ne eravamo dimenticati.

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Sono finite qui le nostre dimenticanze? Purtroppo no. Distogliendo un attimo lo sguardo dal Coronavirus ecco che tornano le vecchie questioni, i problemi di prima che non sono spariti sono solo stati oscurati.

Torniamo allora ancora una volta inquietante delle case di riposo: non abbiamo saputo difenderle dal COVID 19 ma non abbiamo neanche saputo guardarle con attenzione.

E’ veramente il Coronavirus l’unico problema di questi luoghi? Secondo l’autore della lettera che vi proponiamo oggi no.

L’ultima lettera per figli e nipoti del nonno ucciso dal Covid-19

anziano ricoverato
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Quando ha scritto questa lettera, il signore anziano sapeva di esser giunto al capolinea della sua esistenza.

Lo chiarisce subito ma chiarisce anche che ha ancora qualcosa da dire, un messaggio da lanciare.

Certo, vuole salutare i suoi casi ma anche combattere una battaglia che, garantisce proseguirà poi anche da lassù.

Si tratta della battaglia contro ciò che uccide ben prima del virus: la perdita della dignità e la solitudine.

Proprio lui che in quella casa di riposo era voluto fortemente andare (tutto pur di non farsi vedere dai propri cari ridotto al nulla) ora si pente, rema contro, definisce simili luoghi come “prigioni dorate”, rifacendosi alle parole di don Oreste Benziche.

Ci parla di un luogo in cui la considerazione è merce rara, in cui si diventa numeri e si smette di essere persone, il luoghi in cui mai vorremmo vedere chi amiamo.

Lo racconta ai suoi figli, ai suoi nipoti ma spera di raccontarlo a tanti altri figli e nipoti, quelli che la verità devono saperla per tempo.

I rimpianti, i rimorsi, le riflessioni di un uomo che sa di morire ci spingono allora a interrogarci: che cosa abbiamo perso di vista in queste settimane? Realtà che prima mettevamo sotto l’agente di ingrandimento, su cui ci interrogavamo ma che adesso abbiamo messo da parte sono in verità sempre lì, con i loro angeli e demoni, con chi rende giustizia al proprio lavoro e chi lo infanga.

Già perché per tanti che fanno il proprio lavoro con scarsa umanità, come evidenzia l’autore della missiva, ci sono anche coloro che lo fanno con la mente e il cuore ben desti: a noi il compito di far prevalere i secondi ma, per riuscirvi, dobbiamo aprire nuovamente gli occhi sul mondo oltre il Coronavirus.

Forse le parole che seguono ci aiuteranno a farlo.

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“Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. (L’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla). Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara. E’ l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella “prigione”.

Si, così l’ho pensata ricordando un testo scritto da quel prete romagnolo, don Oreste Benziche parlava di questi posti come di “prigioni dorate”. Allora mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto. Sembra infatti che non manchi niente ma non è così…manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e far dimenticare tutto. In questi mesi mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme.

In 85 anni ne ho viste così tante e come dimenticare la miseria dell’infanzia, le lotte di mio padre per farsi valere, mamma sempre attenta ad ogni respiro e poi il fascino di quella scuola che era come un sogno poterci andare, una gioia, un onore. La maestra era una seconda mamma e conquistare un bel voto era festa per tutta la casa. E poi, il giorno della laurea e della mia prima arringa in tribunale. Quanti “grazie” dovrei dire, un’infinità a mia moglie per avermi sopportato, a voi figli per avermi sempre perdonato, ai miei nipoti per il vostro amore incondizionato. Gli amici, pochi quelli veri, si possono veramente contare solo in una mano come dice la Bibbia e che dire, anche il parroco, lo devo ringraziare per avermi dato l’assoluzione dei miei peccati e per le belle parole espresse al funerale di mia moglie.”

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“Ora non ce la faccio più a scrivere e quindi devo almeno dire una cosa ai miei nipoti… e magari a tutti quelli del mondo. Non è stata vostra madre a portarmi qui ma sono stato io a convincere i miei figli, i vostri genitori, per non dare fastidio a nessuno. Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno, forse sarà stato anche per orgoglio e quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione.

Certo, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi? Una volta quell’uomo delle pulizie mi disse all’orecchio: “sai perché quella quando parla ti urla? Perché racconta sempre di quanto era violento suo padre, una così con quali occhi può guardare un uomo?”. Che Dio abbia pietà di lei. Ma allora perché fa questo lavoro? Tutta questa grande psicologia, che ho visto tanto esaltare in questi ultimi decenni, è servita solo a fare del male ai più deboli? A manipolare le coscienze e i tribunali? Non voglio aggiungere altro perché non cerco vendetta. Ma vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le rsa, le “prigioni” dorate e quindi, si, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito e quindi anche pericoloso.

Questo coronavirus ci porterà al patibolo ma io già mi ci sentivo dalle grida e modi sgarbati che ormai dovrò sopportare ancora per poco…l’altro giorno l’infermiera mi ha già preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no. La mia dignità di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già uccisa. Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio. Ma non fate nulla vi prego…non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti (e ai tanti figli e nipoti) che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinchè si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi.

Vostro nonno.”

coronavirus complotto
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Ecco dunque il miglior esempio di ciò che questo virus sta causando. Troppo presi da paura, contagi, decessi stiamo forse perdendo di vista il quadro generale, problemi che già c’erano prima, che forse si sono acuiti ma a cui ora non badiamo più.

Il Coronavirus è anche questo e la vita va avanti nonostante il Coronavirus. Dimenticarsi di tutto ciò che ci circonda è forse più dannoso dell’epidemia stessa.

Fonte: www.interris.it

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