Il linguaggio del pianto del neonato | La guida per i genitori

Il linguaggio del pianto del neonato, come piange, perché e i diversi pianti del neonato. Scoprire i modi giusti per capirlo, la guida per i genitori e la nostra capacità di sopportazione

coliche del neonato il linguaggio del pianto del bambino (Thinkstock)

Il linguaggio del pianto del neonato è importante saperlo interpretare perché così facendo, saremo delle mamme o dei papà in grado di far fronte alle necessità primarie del neonato. Noi tutti, bambini o adulti, non ci esprimiamo solo con le parole. Si parla anche con il corpo: alziamo gli occhi al cielo per indicare sopportazione, solleviamo le spalle per dimostrare il nostro disinteresse, ci tocchiamo la fronte quando siamo preoccupati. E spesso, il linguaggio delle mani arriva ad essere talmente espressivo da sostituire del tutto le parole, come per esempio nei dialoghi tra sordomuti. Allo stesso modo, i bambini piccoli, compresi i neonati, parlano con il loro corpo, anche perché per loro è l’unico mezzo di comunicazione che hanno con il mondo che li circonda non riuscendo ancora a parlare. Con il pianto, prima di tutto, e poi, man mano che crescono e acquisiscono il controllo dei loro movimenti, con gli occhi, con il sorriso, con i gesti delle mani e delle gambe, con i morsi e i primi balbettii. Riuscire a interpretare il pianto del bambino come espressione dei suoi bisogni e delle sue necessità, così come le manifestazioni delle sue emozioni comporta indiscutibili benefici. Ci aiuta a reagire con meno irritazione i insofferrenza e ci pone in uno stato d’animo che ci permette di assumere un atteggiamento di ascolto, necessario per riconoscere le diverse sfumature di significato del pianto stesso: fame, dolore fisico, paura, bisogno di vicinanza, sonno, ansia da abbandono, gelosia, stanchezza, tensione, rabbia, noia e tanti altri aspetti della vita di un neonato. Ecco perché è fondamentale riconoscere le ragioni del pianto e del bambino. Scopriamoli insieme

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Il linguaggio del pianto del bambino e le sue ragioni

neonato comunica il linguaggio del pianto del bambino(Istock Photos)

Oggi si trovano ancora psicologi, dottori e genitori che consigliano, come si faceva secoli fa, di ignorare il pianto del bambino per “rompere l’abitudine al lamento” e insegnargli a consolarsi da solo. Le vecchie teorie che imponevano di non “cedere”e di lasciar piangere attribuivano al piccolo nato capacità di “malafede”. In realtà, spiega Antonio Marini, neonatologo con una lunghissima esperienza all’Ospedale Mangiagalli di Milano, il neonato non è in grado di fingere: “Le ragioni del suo pianto possono essere tante, ma è sicuro che ci sono.” Quelli che gli adulti chiamano capricci iniziano più tardi, verso il nono mese, ma anche in questo caso, se esaminiamo la situazione, hanno sempre un fondo di ragione. Quali sono allora le “ragioni di un bambino” così piccolo? Il pianto, spiegano gli esperti, non è necessariamente un segno di malessere. Può essere dovuto a una crisi di adattamento ormonale (il bambino finché si trova nella pancia della mamma è esposto ad alti tassi ormonali, che alla nascita diminuiscono di colpo: soffre quindi di una specie di sindrome di astinenza); al bisogno di essere consolato dopo un brusco risveglio, perché è triste ho ha voglia di compagnia. Spesso si tratta solo di un accumulo di stress nel senso più ampio del termine: una forte emozione, un rumore improvviso, una stimolazione eccessiva, lo spavento causato da un temporale.

Piangere, insomma, è l’unica “parola” che il neonato conosce, l’unico modo che ha per comunicare bisogni, desideri, esasperazioni, affetti.

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Ecco perché è così importante capirlo e interpretarlo: com vedremo più avanti, dal nostro modo di “rispondere” il piccolo imparerà a stabilire legami profondi, a costruire le sue sicurezze, a interpretare il mondo.

Le “colpe” dei genitori di fronte al bambino che piange

il linguaggio del pianto del bambino (Istock)

Di fronte ad un bambino che piange spesso si tende a colpevolizzare i genitori, perché trascurano il bambino, non rispondono alle sue esigenze primarie, i suoi bisogni, non gli offrono abbastanza attenzione. Racconta Berry T. Brazelton, uno dei più celebri pediatri americani, di una volta in cui fu chiamato a osservare i comportamenti di un gruppo di bambini di 4 mesi in un asilo nido. Durante il giorno i piccoli non concedevano grandi attenzioni alle educatrici; ma, al termine della giornata, appena le mamme e i papà apparivano sulla porta, scoppiava un coro di pianti che si calmava solo quando questi prendevano in braccio i propri figli. In più, se la mamma o il papà tentavano di baciarli, giravano la testa come se volessero evitarli. “Con noi non si comportano mai in questo modo!” osservarono le educatrici. Ogni genitori nel suo intimo, assalito dai sensi di colpa, allora pensava: “Il bambino è arrabbiato con me perché l’ho lasciato solo tutta la giornata”. Osserva Brazelton: “Rimasi stupito dall’interpretazione che i genitori avevano dato al pianto dei loro bambini. Tutti, senza alcuna eccezione, si sentivano in colpa per qualcosa. In realtà i bambini non ce l’avevano per nulla con la mamma o il papà: aspettavano solo il loro arrivo per esprimere liberamente i propri sentimenti. Si mettevano a piangere per attirare l’interesse e facevano gli smorfiosi per strappare ancora di più attenzioni ed essere coccolati di più”.

Allora, perché il neonato piange?

il linguaggio del pianto del bambino (Istock)

Stabilito che il bambino non piange perché è viziato dagli adulti, perché è capriccioso o cattivo o perché i genitori non stanno con lui/lei tutto il tempo, resta la domanda: Perché piange? Spiegano gli psicanalisti che fin dai primi vagiti ogni bambino sperimenta la stessa angoscia e manifesta tutti i sintomi di un attacco d’ansia: gli manca il respiro, il suo cuore comincia a battere furiosamente, si sente compresso dallo sforzo necessario per venire alla luce.

Se fosse in grado di esprimersi direbbe che, in quei momenti, è dibattuto tra due emozioni contrastanti: il timore che, uscendo allo scoperto, possa cessare di vivere, e il desiderio imperioso di liberarsi dalla prigione in cui si rischia di soffocare. Sperimenta cioè due delle più comuni manifestazioni dell’ansia di cui soffrono gli adulti: la paura dei luoghi chiusi (claustrofobia) e quella degli spazi senza confini (agorafobia).  Alcuni studiosi affermano quindi . che il neonato piange perché, in realtà, “rimpiange” la sicurezza perduta e tutte le sensazioni positive di cui beneficiava quando era ancora nel ventre materno. Si trova davanti a un mondo ignoto, sproporzionato, minaccioso, e deve adattarsi a una miriade di stimoli che sperimenta per la prima volta.

Il pianto è un comportamento normale nei piccoli, che non deve spaventare né tanto meno essere interpretato come un campanello d’allarme sullo stato di salute o sull’alimentazione del neonato. Semmai, occorre soffermarsi sulla dose di ansia che suscita nella mamma, per rassicurarla sul fatto che non è quasi mai legato a disturbi o malattie serie, oppure a carenze di latte. Anzi, il bambino che ha davvero un problema di salute di solito tende a piangere di meno.

La nostra capacità di sopportazione quando piange il neonato

Pannolini hi-tech il linguaggio del pianto del bambino (Istock)

E’ il senso di inadeguatezza, l’esasperazione o la stanchezza che tendono a estendere nella nostra mente il tempo durante il quale un bambino piange, facendolo apparire molto di più di quello che è effettivamente. Anche se si può avere l’impressione che il piccolo pianga sempre, la realtà, in molti casi, è diversa. Nel corso di una ricerca effettuata in Francia, che ha coinvolto un grande numero di genitori, è stata registrata, orologio alla mano, la durata del pianto dei bambini nel corso di una settimana. Nella maggioranza dei casi, quando i genitori hanno scoperto che le loro impressioni sono ben diverse dalla realtà, che il pianto dei loro bambini è “normale”, si sono tranquillizzati, e i rapporti con il bambino sono diventati più sereni.

Detto ciò, resta comunque un dato: vi sono bambini che piangono molto di più di altri, pur essendo perfettamente sani e nonostante i loro genitori abbiano una notevole esperienza. Sapere quanto piange un neonato “normale” può servire a mettere in una cornice più oggettiva la valutazione dell’irrequietezza del piccolo.

I fattori biologici del pianto del neonato

il linguaggio del pianto del bambino (Istock)

Il pianto di un bambino è un segnale perfetto. Il pianto è un meccanismo di emergenza, un segnale perfetto che ha, soprattuto, la funzione diportare la mamma vicino al bambino il più rapidamente possibile, per consolarlo e, nello stesso tempo, per capire perché ha bisogno di aiuto. Ecco quanto sostengono gli scienziati che lo hanno studiato:

  • E’ un riflesso automatico: il bambino non sceglie di piangere ma è costretto a farlo. Nel momento in cui il lattante sente un bisogno impellente, è indotto a inspirare aria nei polmoni e a espellerla attraverso le corde vocali che, vibrando, producono un suono che noi chiamiamo pianto, ma che sarebbe più esatto definire urlo. Nei primi mesi di vita, quindi, il bambino non decide di piangere, ma lo fa in modo automatico: quando i suoi polmoni sono pieni d’aria, deve espellerla, e piange.
  • E’ personale: il pianto di ciascun bambino è unico, e persino i gemelli monozigoti, hanno tonalità differenti. I tecnici chiamano impronte le caratteristiche di questi suoni: ogni bambino ha impronte sonore diverse, così come sono diverse le impronte dei polpastrelli delle dita.
  • E’ efficace: nel sentire il bambino che piange, il sangue affluisce al seno della mamma che prova l’impulso di prenderlo in braccio e di nutrirlo. L’ossitocina, l’ormone che stimola la secrezione del latte, induce inoltre un senso di rilassamento e di benessere, che calma la tensione provocata dal pianto del piccolo.

Sono questi i fattori biologici, che fanno parte della rete di comunicazioni tra madre e bimbo, a spiegare perché sia così difficile per una mamma accettare il consiglio di lasciar piangere il bambino finché non smette: è biologicamente contraddittorio.

Secondo i risultati di diversi studi, solo una minoranza dei bambini (dal 10 al 13%) versa autentiche lacrime nei primi 5 giorni di vita. La stragrande maggioranza si limita a urlare, o meglio, per usare una versione più “gentile”, emette vagiti. In genere le lacrime appaiono solo dopo la terza settimana di vita e alcuni bambini aspettano a versarle fino al quinti mese. Anche per questo il pianto del neonato non va concluso con il pianto dell’adulto. Non è un segnale di sofferenza, ma un vero e proprio linguaggio con cui il piccolo comunica le sue emozioni e le sue esigenze: fame, stanchezza, sonno, bisogno di coccole, ecc. I bambini sono in balia dei loro impulsi. Quando hanno fame non riescono a rimandarne l’immediata soddisfazione. Se sono stanchi, non possono attingere al medesimo patrimonio di riserve che possiede l’adulto:hanno bisogno di riposarsi subito. Quando sono gelosi, tristi, arrabbiati, sono sopraffatti dall’ansia, spaventati, delusi o anche solo annoiati, non riescono a dissimulare i loro sentimenti. Per questo è importante partire dalla convinzione che non c’è nulla di male se esprimono le loro emozioni con il pianto. Sarebbe anzi un problema se rimanessero indifferenti e apatici davanti ai mille stimoli che li circondano.

I diversi pianti del neonato: la mini guida per i genitori

cura del neonato il linguaggio del pianto del bambino (Istock Photos)

Essere consapevoli che attraverso il pianto il bambino cerca di comunicare è una premessa necessaria per sapere di che cosa ha bisogno. Come noi distinguiamo il contenuto di una conversazione dal tono della voce (tenero, sconsolato, irritato, imperioso, ecc.), allo stesso modo, se vi poniamo attenzione, possiamo capire il messaggio che il bambino ci vuole comunicare dal tono del suo pianto. E non si tratta di impressioni. Gli studiosi hanno registrato il pianto dei bambini analizzandone con particolari strumenti le variazioni. Il risultato è che hanno individuato toni diversi a seconda del motivo che li spinge a piangere. Con il passare del tempo, impara a riconoscere il pianto del suo bambino e a interpretarlo come se fossero parole.

1. PIANTO DA FAME

Inizia flebilmente in modo aritmico, e poi aumenta diventando più ritmato e intenso. Nei primi mesi di vita è importante cercare di assecondare le richieste del bambino con elasticità, in particolare se è allattato al seno, perché solo così il latte può modificarsi in quantità e qualità in base alle sue esigenze; l’appetito del bambino, infatti, è questione di costituzione e di temperamento. Se il piccolo piange molto e pare sempre ansioso di attaccarsi al seno, è importante valutare se succhia in modo regolare e se riesce a prendere tutto il latte che gli serve: vi sono bambini così frenetici che spesso prendono più aria che latte. Essere elastiche e allattare a richiesta non significa però offrirgli il seno ogni volta che piange: se infatti riceve sempre la stessa risposta dall’ambiente (al pianto corrisponde sempre l’offerta del seno) imparerà solo quella. E se ogni volta che si lamenta viene preso in braccio e allattato, c’è il rischio che richieda sempre il seno anche se è di altro che avrebbe bisogno.

2. PIANTO DA DISAGIO

Simile al pianto da fame nella fase iniziale, quello da disagio rimane debole anche in seguito e i genitori non si sentono “costretti” a intervenire immediatamente. Il bambino è bagnato, ha freddo o troppo caldo, si dimena nel piangere come se volesse liberarsi da un fastidio.

3. PIANTO DURANTE LA POPPATA

Qualche volta può accadere che il neonato scoppi a piangere proprio durante la poppata. In genere, succede nella fase iniziale dell’allattamento, perché c’è molto latte e, non appena il bambino si attacca, gli arriva un flusso talmente intenso da farlo quasi “soffocare”. Il piccolo diventa rosso, sembra che qualcosa gli vada per traverso e si innervosisce. Per evitare questo inconveniente, è sufficiente che la mamma si sprema un po’ di latte prima di offrirgli il seno. Come vedremo, però, il pianto durante la poppata può essere anche il segnale delle Coliche gassose.

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4. PIANTO DA DOLORE

Il pianto da dolore è improvviso e lacerante, come del resto quello di qualsiasi persona che si fa improvvisamente male; provoca una forte reazione emotiva da parte dei genitori e fa sì che intervengano immediatamente per verificare di che cosa si tratta. Il primo urlo può essere seguito da una pausa, come se il bambino dovesse riprendere fiato. In un secondo momento, il volume può diminuire a causa dello sfinimento, e l’urlo trasformarsi e lamentoso.

5. PIANTO DA MALATTIA

Il pianto dovuto a una malattia del piccolo, diversamente da quello dovuto a un dolore acuto, è debole e lamentoso.

6. PIANTO DA FRUSTRAZIONE

Il bambino non ha ancora il controllo dei movimenti delle mani e delle braccia. Potrebbe volersi mettere le mani in bocca o afferrare qualcosa e non riuscirci; per il disappunto, scoppia a piangere. Il tono del pianto in questo caso è irritato.

7. PIANTO DA ECCESSO DI STIMOLAZIONE

La stanza è rumorosa, il piccolo è contornato da parenti e amici che fanno a gara per conquistarne l’attenzione con sonagli, carillon, squittii, carezze e baci. Improvvisamente chiude gli occhi, gira la testa e si mette a piangere: cerca di avere un po’ di pace e di tranquillità.

8. PIANTO DA SOLITUDINE

Il pianto da solitudine è generalmente un piagnucolio, quasi mai forte ma ritmico, che si placa solo quando il bambino ottiene la “risposta” da chi lo accudisce: avvicina il suo viso a quello del piccolo, gli sorride, gli parla, lo culla, lo accarezza. A volte il bambino si addormenta e poco dopo si sveglia piangendo. Può darsi che si senta solo, oppure semplicemente annoiato; in questo momento ha bisogno di coccole e di attenzione.

9. PIANTO DA PAURA

Il bambino si trova nelle braccia di una persona che non conosce bene, e scoppia improvvisamente a piangere. Vuole allontanarsi e si dimena. Ha paura; va ripreso in braccio da uno dei genitori, o da una figura familiare, e tranquillizzarlo.

10. PIANTO DA STANCHEZZA

Il bambino diminuisce le sua attività, perde interesse per le persone e i giochi, sbadiglia, e il suo sguardo si fa vitreo. Sente il bisogno di dormire.

11. PIANTO DA VIVACITA’ INTELLETTIVA

Il pianto del bambino non è solo l’espressione di un bisogno, ma è anche un segno di vivacità intellettiva e di attenzione all’ambiente. All’alba della via, i nostri piccoli sono sottoposti a un bombardamento di stimoli che certamente non sono facili da filtrare. Ecco perché, ogni tanto, capita che reagiscano alle mille sollecitazioni esterne con piccole crisi di nervi, che non devono allarmare. Alcuni bambini, così come diversi adulti, hanno bisogno di meno ore di sonno pur stando benissimo, e piangono perché non vogliono dormire.

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