Coronavirus | Mattia: dalla malattia alla rinascita fino alla felicità

Mattia di Codogno è ormai famoso per essere stato il primo paziente italiano trovato positivo al Coronavirus. La sua storia, che per fortuna si è conclusa con un lieto fine, oggi è una storia di speranza.

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Stazione di Codogno: (Fonte: Instagram)

Trentotto anni, una perfetta condizione fisica, alimentazione bilanciata e una vita sana da sportivo, nessun viaggio all’estero e nessuna alterazione nelle normali abitudini da cittadino della provincia lombarda. Come Mattia sia stato infettato dal Coronavirus rimane un mistero sotto molti aspetti.

La parte del contagio tuttavia rimane molto in secondo piano rispetto all’evoluzione della sua storia, che è stata seguita con apprensione non soltanto dalla sua famiglia e dai suoi amici più stretti: l’Italia intera si è preoccupata della sorte del Paziente 1.

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Fortunatamente, grazie alle cure e all’enorme forza emotiva che è arrivata a Mattia dall’imminente nascita della piccola Giulia ha consentito al trentottenne di Codogno di superare il momento più buio della sua vita. Oggi, lo ha detto lui, vuole continuare a vivere con il sole in faccia.

Mattia: dalla diagnosi del Coronavirus alla nuova vita

Vaccino Pixabay

La storia clinica del Paziente 1 del Coronavirus in Italia comincia il 17 Febbraio, quando Mattia decide di presentarsi nell’ospedale di Codogno a causa di una febbre molto alta: gli viene diagnosticata una polmonite e gli vengono prescritti degli antibiotici.

Nonostante il fatto che i medici gli consiglino di rimanere in ospedale, Mattia decide di tornare a casa, convinto che le sue ottime condizioni fisiche gli avrebbero permesso di recuperare rapidamente da quello che sembrava un malanno temporaneo.

Mattia aveva appena corso due mezze maratone nei giorni precedenti alla diagnosi e probabilmente ha ritenuto che i problemi derivassero principalmente dall’affaticamento dovuto all’intensa attività sportiva dei giorni prima.

Le cose in un certo senso sono andate esattamente così, dal momento che il sistema immunitario di Mattia è stato indebolito proprio dal prolungato stress muscolare a cui l’atleta si è sottoposto: questo abbassamento temporaneo dell’efficacia del sistema immunitario è chiamato dagli esperti “open window”, una “finestra aperta” attraverso cui il Coronavirus è riuscito a farsi rapidamente strada nel corpo di Mattia.

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Il 20 Febbraio Mattia ritorna in ospedale in condizioni ancora peggiori della volta precedente: qualsiasi cosa abbia è resistente agli antibiotici. È stata un’anestesista ad avere l’intuizione che avrebbe cambiato il corso della vita di Mattia e che, soprattutto, gliel’ha salvata.

Quando Valentina, moglie di Mattia, accennò al fatto che Mattia era stato a cena con un collega tornato dalla Cina, all’anestesista Annalissa Malara si è accesa la proverbiale lampadina: dopo il tampone è arrivata la certezza che Mattia fosse il Paziente 1.

La situazione paradossale è che l’amico di Mattia che era stato in cina venne prontamente sottoposto a tampone: l’uomo risultò negativo e a quanto pare non ha mai contratto il virus. Come Mattia si sia ammalato, quindi, rimane un mistero insoluto.

Date le sue condizioni, il 9 Marzo, Mattia venne trasferito al Policlinico San Matteo di PaviaI medici gli dicono: “Dovremo addormentarti per curarti meglio” e da quel momento in poi Mattia ha un vuoto lungo 10 giorni.

“Sono entrato in un limbo. A tratti sognavo ma non ricordo cosa. Non soffrivo, ma avevo la netta percezione che quella fosse l’anticamera della morte”.

Viene trasferito dalla terapia intensiva (dove è rimasto per 18 giorni) alla terapia sub intensivadove si risveglia. “Lì ho fatto la cosa più semplice e bella, che è respirare” ha detto Mattia.

Il 19 Marzo è abbastanza in forma per chiamare suo padre e fargli gli auguri per la festa del papà: in quell’occasione scopre che suo padre è morto. Nello stesso giorno, attraverso un vetro, riesce a vedere Valentina, che in quel momento è alla trentasettesima settimana di gravidanza.

A quel punto l’obiettivo del Paziente 1 è quello di rimettersi in piedi per assistere alla nascita della sua bambina. In questo periodo è addirittura dell’umore giusto per mettersi a scherzare: “Sono dimagrito e sono in forma” ha detto ai medici, affermazione che è poi stata riportata dal Corriere della sera.

Nel giro di pochi giorni Mattia sarebbe stato dimesso dall’ospedale e già allora rilasciò interviste in cui consigliava alle persone di rispettare la quarantena ed evitare il contagio.

“Da questa mia esperienza le persone devono capire che è fondamentale stare in casa, la prevenzione è indispensabile per non diffondere l’infezione. […]  Io sono stato molto fortunato perché ho potuto essere curato: ora potrebbero non esserci medici, personale, mezzi per salvarti la vita. Da questa malattia però si può guarire.”

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Pochissimi giorni dopo l’uscita dall’ospedale, Mattia ha assistito al parto, una delle emozioni più intense della sua vita: “Sono state due ore che per me valgono davvero tutta la sofferenza che le hanno precedute. Io ero appena uscito dalla rianimazione […] e questa bimba che apre gli occhi perché sente che la vita è meravigliosa!”

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Proprio l’attesa di vedere sua figlia ha dato al Paziente 1 la forza per resistere: “Quando stai per morire non puoi razionalmente resistere. Penso che però l’imminente arrivo di Giulia abbia moltiplicato le mie energie fisiche. Non potevo andare via mentre lei stava arrivando”.

Igiene e cura del neonato cosa serve davvero
Fonte foto: Pixabay

Oggi Mattia chiede soltanto il massimo rispetto per la sua privacy e per la sua famiglia, il cui obiettivo, in questo momento, è lasciarsi alle spalle questa brutta esperienza e cominciare una nuova vita. A conclusione della recentissima intervista rilasciata a Repubblica, Mattia ha detto “Ero in un tunnel, ora davanti vedo il Sole”.

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