Quarantena | La riflessione più famosa dei social: “la primavera dentro”

Circola sui social una riflessione commovente, un racconto che aveva il segreto per affrontare al meglio questa lunga quarantena.

primavera Giappone
Foto da Pixabay

Il Coronavirus ci isola dal mondo e quanto più ci allontana da tutto e tutti, tanto più noi cerchiamo nuove vie per restare uniti e a contatto con quanto ci circonda.

I social network e, più in generale, il web svolgono un ruolo estremamente importante da questo punto di vista, garantendoci informazione, svago e supporto nei momenti più difficili.

Sarà per questo che proprio da internet giungono sempre più di frequente messaggi, lettere, testi e racconti che ci fungono da ispirazione e da vere e proprie spinte per dar il meglio di noi.

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Vi abbiamo proposto il messaggio dell’infermiera Michela Venturi, citata anche dal premier Conte durante un intervento alla Camera, e anche la lettera di una bambina alla sua mamma infermiera, una vera e propria testimonianza di amore.

Potremmo, a tal proposito, citare tanti altri esempi, messaggi che ci hanno commosso e, al tempo stesso, motivato.

Oggi vogliamo aggiungerne un altro all’elenco, uno già molto popolare nel mondo social ma la cui diffusione è stata, tra le altre cose, legata a un grossolano e buffo errore di attribuzione, aspetto che lo rende un fenomeno ancor più interessante.

Quarantena: “mi ero portato la primavera dentro”

fiore macro
Foto da Pixabay

In molti hanno erroneamente attribuito la riflessione che vi riproponiamo qua sotto e che, in queste settimane, ha spopolato sui social a uno dei padri della psicanalisi, Carl Gustav Jung.

A chiarire l’equivoco giunge però ora l’HuffPost Italia che ristabilisce la giusta paternità delle parole tanto stimate. L’autore legittimo pare infatti essere lo scrittore Alessandro Frezza che ha già all’attivo cinque libri pubblicati. In nessuno di questi troverete però le parole che seguono, scritte dal giovane autore italiano appositamente per questo difficile momento.

A quanto pare il brano sarebbe stato condiviso su una pagina social dedicata al celebre psichiatra, senza specificarne però il reale autore e da qui l’errata attribuzione che ha poi circolato un po’ ovunque, traendo in inganno anche Fabio Volo che ha citato il brano nel suo programma radiofonico.

Oggi noi ve lo riproponiamo, restituendo la giusta paternità ad Alessandro Frezza e invitandovi ancora una volta ad assaporare la semplice verità di quanto narrato.

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“Capitano, il mozzo è preoccupato e molto agitato per la quarantena che ci hanno imposto al porto. Potete parlarci voi?”
“Cosa vi turba, ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?”
“Non è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter abbracciare i miei cari”.
“E se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare qualcuno che non può reggere la malattia?”
“Non me lo perdonerei mai, anche se per me l’hanno inventata questa peste!”
“Può darsi, ma se così non fosse?”
“Ho capito quel che volete dire, ma mi sento privato della libertà, Capitano, mi hanno privato di qualcosa”.
“E voi privatevi di ancor più cose, ragazzo”.
“Mi prendete in giro?”
“Affatto… Se vi fate privare di qualcosa senza rispondere adeguatamente avete perso”.
“Quindi, secondo voi, se mi tolgono qualcosa, per vincere devo togliermene altre da solo?”
“Certo. Io lo feci nella quarantena di sette anni fa”.
“E di cosa vi privaste?”

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“Dovevo attendere più di venti giorni sulla nave. Erano mesi che aspettavo di far porto e di godermi un po’ di primavera a terra. Ci fu un’epidemia. A Port April ci vietarono di scendere. I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi iniziai a rispondere a quelle imposizioni non usando la logica. Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un’abitudine, e invece di lamentarmi e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere.
Cominciai con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi iniziai a selezionare dei cibi più facilmente digeribili, che non sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione, contribuivano a far stare l’uomo in salute.
Il passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di più elevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo. Mi imposi di fare esercizi fisici sul ponte all’alba. Un vecchio indiano mi aveva detto,anni prima, che il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto una tale forza. La sera era l’ora delle preghiere, l’ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la mia vita.
Sempre l’indiano mi consigliò, anni prima, di prendere l’abitudine di immaginare della luce entrarmi dentro e rendermi più forte. Poteva funzionare anche per quei cari che mi erano lontani, e così, anche questa pratica, fece la comparsa in ogni giorno che passai sulla nave.
Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l’attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L’ attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente.
Mi ero privato di cibi succulenti, di tante bottiglie di rum, di bestemmie ed imprecazioni da elencare davanti al resto dell’equipaggio. Mi ero privato di giocare a carte, di dormire molto, di oziare, di pensare solo a ciò di cui mi stavano privando”.
“Come andò a finire, Capitano?”
“Acquisii tutte quelle abitudini nuove, ragazzo. Mi fecero scendere dopo molto più tempo del previsto”.
“Vi privarono anche della primavera, ordunque?”
“Sì, quell’anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe potuto rubarmela piu”.

depressione quarantena
(Foto: Pixabay)

Ciò che dunque non può venire da fuori dobbiamo, ancora una volta, imparare a cercarlo dentro di noi.

Il senso di libertà, la voglia di fare, di mantenersi in forma e sì, persino la primavera: se non possiamo viverla fuori lasciamola fiorire dentro di noi. Ecco come dovremmo vivere la quarantena.

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