La quarantena di Sara, mamma di un autistico: “ci hanno dimenticato”

Sara racconta la sua quarantena da mamma di un bambino autistico, una quarantena in cui sembra che tutti si siano dimenticati di loro

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Foto da Facebook @Sara Anzellotti

“Ma Leo ha perso in un mese un anno di frutti di terapia già pagata. Qualcosa bisogna fare per evitare il disastro: non ci hanno neanche pensato, alle nostre esigenze. Ho sentito parlare di tutto, tranne che di noi”

Parla così Sara Anzellotti, 42 anni, mamma di tre figli, di cui uno autistico. Intervista dal Corriere della Sera, si fa portavoce di tante altre mamme, tante altre famiglie per cui questa quarantena ha il sapore amaro dell’abbandono.

La storia di Sara è infatti la storia di molti. Di Patrizia Cristiani per esempio, la mamma di Torino autrice del post che ha mobilitato l’attenzione generale nei confronti delle attuali necessità dei bambini con autismo, inventando poi il segno distintivo del nastro blu pur di concedere al proprio figlio qualche prezioso minuto di aria.

Per queste due donne che hanno fatto sentire la loro voce ve ne sono tante altre che vivono eguali o maggiori difficoltà in silenzio o, comunque, senza esser ascoltate. Donne e famiglie che si sentono dimenticate:

“In ogni decreto – prosegue Sara – in ogni conferenza stampa, in ogni provvedimento, si parla di estetiste, parrucchieri, attività manifatturiere, gestori di palestre, fabbriche, uffici…ma noi non esistiamo. Eppure per noi la scuola è vita. Senza la terapia mio figlio diventa ingestibile, e come il mio molti altri: rappresento un centinaio di famiglie di un’associazione, Movimento genitori Lombardia, che invano sta cercando di far sentire la voce dei disabili”

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Come abbiamo più volte segnalato in questo periodo, la paura e lo smarrimento legati a questa complessa pandemia ci hanno forse fatto distogliere lo sguardo da altre situazioni critiche, quelle che facevano parte della vita di tutti i giorni e che sono tate a loro volta travolte dal Coronavirus e da tutto ciò che ne è conseguito.

Esempio di ciò ne è senza dubbio la lettera scritta prima di morire dal nonno a nipoti e figli, missiva in cui si descrivono le condizioni di vita nelle case di riposo, ma anche l’intervista a Sara, quel senso di abbandono e di “esser dimenticati” che questa mamma vuole trasmettere al Governo e a tutti noi per farci capire come può esser questa quarantena per chi ha più bisogno.

Sara, la mia quarantena da mamma di un bambino autistico dimenticato

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Foto da Pixabay

“Qual è il momento peggiore della sua giornata, Sara?”

“Quando mio figlio ha le crisi, e distruggerebbe tutto. Siamo stati, diciamo così, fortunati, non è un bambino violento, anzi, è dolcissimo e molto socievole, ma ovviamente ha le sue difficoltà. E anche una malattia intestinale rara che gli comporta gravi coliche. Dobbiamo seguirlo 24 ore su 24”

Solo uno dei tanti momenti di difficoltà che questa ma anche tante altre mamme stanno vivendo, bloccate tra quattro mura che divengono oggi giorno più opprimenti e senza nessun che, da fuori, tenda loro una mano.

Si sente sola Sara, abbandonata e prevaricata da problemi che, ogni giorno, diviene più arduo affrontare.

Per molte famiglie di aiuto è stata la didattica a distanza, un modo per tenere i più piccoli impegnati e avere una giornata più organizzata, ma quando si ha a che fare con bambini problematici non funziona così:

“Non ha niente di inclusivo. Mio figlio fa terapia per imparare a stare seduto per qualche minuto, si figuri davanti a uno schermo per ore. E hanno difficoltà i ragazzi con bisogni educativi speciali, quelli fragili, quelli che rimanevano indietro già prima, quelli con disturbi: dicono che siamo una minoranza, ma siamo una minoranza corposa. Non si stanno rendendo conto che stanno lasciando indietro i più fragili. Come diceva Zygmunt Bauman, “si misura la tenuta di un ponte a partire dalla solidità del suo pilastro più piccolo. La qualità umana di una società dovrebbe essere misurata a partire dalla qualità dei più deboli dei suoi membri”. Il diritto all’istruzione è sancito dalla nostra preziosissima costituzione, non la conosco propriamente a memoria ma non mi risulta che i diversamente abili siano esclusi da questo diritto”

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Che cosa potrebbe allora aiutare le mamme come Sara?

“La sua terapia, quella comportamentale, Aba, che segue da anni e che gli ha fatto fare notevoli progressi. Io sarei terapista abilitata, ma non posso sostituirmi a una terapista perché sono la mamma, è un ruolo che non posso umanamente e logicamente ricoprire. E ancora non ho imparato a insegnargli la vita attraverso uno schermo. Non sono neppure stata capace di insegnargli a coprirsi la bocca, a tenere una mascherina, tanto meno a mantenere le distanze, pensi che lotto da anni per avvicinarlo alle persone”

La terapista però a casa non può venire ma ciò non vuol dire che non ci siano altri aiuti concreti che potrebbero venire in soccorso di coloro he sono alle prese con problemi come l’autismo.

“La riattivazione, con le dovute precauzioni, dell’educazione in presenza. Incentivi anche per chi, come me, gestisce tutto da sola: anche un aiuto in casa. Un marito fa quel che può, mia figlia grande è nel mezzo dell’adolescenza, e si sa…”

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Perché in fin dei conti, oltre a parole che si avrebbe piacere di sentire, quello di cui ha bisogno una mamma con un figlio autistico, così come le altre mamme con figli problematici, è un aiuto pratico, un aiuto importante come gli altri che si stanno dando. Già perché ciò che appare veramente inaccettabile è che pare ci siano problemi di serie A e problemi di serie B:

“Ho rispetto per il lavoro di tutti, ma mi sembra assurdo che certe difficoltà, solo perché non si vedono, possano essere ignorate. Paradossalmente se uno è in carrozzina, è sotto gli occhi di tutti che abbia bisogno di aiuto. Un dislessico o un autistico no”

Sara quell’aiuto ha provato a cercarlo nelle istituzioni ma, ahimè, i risultati non sono stati quelli sperati:

“Abbiamo avanzato come associazione diverse istanze alla Regione. E ho scritto alla ministra dell’Istruzione Azzolina una lettera che inizia così: ‘Gentilissima ministra Azzolina, ci dovrebbe spiegare tra le mille belle parole cosa c’è di inclusivo nella didattica a distanza. Si a noi, proprio a noi. Viviamo la disabilità da anni, lottiamo tutti i mesi, settimane, giorni e ore per cercare di sentirci inclusi in un mondo che non ci aspetta, una società che ci emargina, persone che non ci accettano». Le ho scritto per farle capire che per noi la scuola per noi va oltre l’istruzione, è un modo per imparare ed insegnare ad accettare le diversità, sentirci inclusi e non emarginati. La scuola per noi è continuità, sostegno, progresso, educazione, “l’ora d’aria” in una vita ostile. Non mi ha mai risposto”

Neanche il futuro può purtroppo regalare speranza a queste mamme e figli dimenticati. Se tutti noi guardiamo infatti al domani vedendo una luce in fondo al tunnel per loro pare esserci solo oscurità:

“Temo che saremo considerati “untori”, ancora diversi, ancora esclusi, ancora più distanti, sempre più disabili: qualsiasi obbligo o restrizione legato alla frequenza, per noi sarà un grosso e grave problema di emarginazione sociale da affrontare. Non siamo all’altezza delle grandi finali, noi corriamo contro il tempo ogni giorno, in questo siamo campioni del mondo. Non abbiamo bisogno di un’altra spinta indietro, siamo fermi da quando la vita ci ha messo al muro anni addietro, abbiamo bisogno di un governo che ci traini in avanti, ci tuteli e una comunità che ci accetti. Chiedo umilmente scusa a tutti perchè non siamo stati capaci di essere perfetti”

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Foto da Pixabay 

Parole dolorose da leggere e che pure ci sembra doveroso porre alla vostra attenzione.

In questa corsa verso la salvezza, nonostante le molte promesse fatte dal governo e l’impegno profuso, qualcuno è rimasto indietro, qualcuno si è sentito messo da parte, dimenticato e ciò è forse più imperdonabile e difficile da accettare del contagio stesso.

Che cosa possiamo fare noi? Forse nulla o forse tutto, quel che è certo è che dobbiamo in primo luogo vedere il problema, condividerlo e, se ne avremo l’opportunità, tendere quella mano e non dimenticare a nostra volta.

Fonte: corriere.it

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