Musica | Junior Cally e gli altri, che succede se l’Hip Hop incontra la misoginia

All’Ariston c’è anche Junior Cally, il rapper mascherato è al centro di una diatriba mediatica a causa di un suo testo passato che incita la violenza sulle donne. Nell’Hip Hop e, quindi, nel rap la misoginia esiste?

2LiveCrew, i primi accusati di misoginia nei testi
2LiveCrew, i primi accusati di misoginia nei testi

Torna prepotente al centro del dibattito la questione della violenza di genere correlata alla misoginia: il teatro della discussione è l’Ariston, dove dal 4 all’8 febbraio si ospiterà l’edizione numero settanta del Festival della Canzone Italiana. Prima le dichiarazioni di Amadeus, considerate non all’altezza agli inizi del 2020, poi le accuse al rapper Junior Cally in gara fra i 22 big. C’è grande attenzione sui contenuti della kermesse, a qualsiasi livello, proprio per evitare che vengano veicolati messaggi sbagliati.

“Junior Cally incita la violenza sulle donne”, questo il grido unanime che si alza dal Web. Tutto nasce dal testo controverso di un brano che l’artista compose durante il periodo d’esordio, con il tempo Cally è rimasto sempre un cantautore particolare ed eclettico. Capace di fare anche del turpiloquio un’arma in più, perennemente al confine fra lecito e illecito. Attualmente, il timore (non solo semantico) è che possa crearsi un precedente per far passare messaggi sbagliati a una vasta platea come quella della tivù pubblica. A maggior ragione, secondo i vertici Rai, nel momento in cui Sanremo è venduto e trasmesso anche a livello internazionale.

Il caso Junior Cally e la violenza di genere nell’Hip Hop

2LiveCrew, il rap si scontra con la violenza di genere
2LiveCrew, il rap si scontra con la violenza di genere

Se, però, dobbiamo guardare anche all’estero, è bene prendere in esame tutti gli elementi della questione: le accuse fatte all’artista sono sulla base di un pezzo antecedente, poiché il brano sanremese è ancora ignoto (perlomeno al grande pubblico, gli addetti ai lavori e Amadeus lo conoscono già). Inoltre, le polemiche sono subentrate non appena è trapelato come Cally, all’interno della sua canzone “No grazie”, possa prendersela con la classe politica italiana (nel mirino anche Matteo Salvini e Matteo Renzi).

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Dunque, come sottolinea il management del rapper, riesce difficile capire se la polemica sia strumentale o politica. Nel dettaglio: “Della partecipazione di Junior Cally a Sanremo si ha notizia dal 31 dicembre e tutti i suoi testi sono disponibili sul web. Mentre del testo di “No grazie” selezionato al Festival di Sanremo e delle sue rime antipopuliste si è venuti a conoscenza solo il 16 gennaio da un’intervista al Corriere della Sera. Il giorno dopo, per pura coincidenza, si accendono polemiche legate a canzoni pubblicate da anni in un età in cui Junior Cally era più giovane e le sue barre erano su temi diversi da quelli di oggi”, spiega l’entourage del cantautore.

Inoltre, la difesa della Crew di Cally fa perno anche sulla natura dell’Hip Hop e quindi del rap che, sin dalle origini, enfatizza elementi di finzione attinenti in qualche maniera alla realtà per mettere in risalto (anche in maniera aspra e forte) una morale distorta: “L’arte può avere un linguaggio esplicito e il rap, da sempre, fa grande uso di elementi narrativi di finzione e immaginazione che non rappresentano il pensiero dell’artista. Nessuno penserebbe di attaccare Stanley Kubrick (o Stephen King) per le scene in cui Jack Nicholson rincorre Shelley Duvall in Shining, perché si tratta di fiction. Raccontare la realtà attraverso la fiction è la grammatica del rap. E non solo del rap: la storia della musica ha tantissimi esempi di racconto del mondo attraverso immagini esplicite, esagerate e spesso allegoriche”, sottolinea ancora il management.

Ma la violenza di genere nell’Hip Hop e nel rap esiste? Per provare a rispondere a questa domanda dobbiamo tornare indietro di trent’anni, quando in America, la famosa formazione “2LiveCrew” finì sotto processo per misoginia e atti osceni. Furono il primo gruppo Hip Hop e rap a sfociare nel penale (parlando del passato recente). Quel frangente servì alla comunità per capire quanto poco si sapesse dell’argomento e del genere musicale proposto nonostante fosse sulla scena già da più di una decina d’anni.

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Nel documentario Hip Hop Evolution i protagonisti raccontano come quella battaglia (non solo legale) fu fondamentale per rivendicare la libertà di espressione ed evasione dai canoni standardizzati di un genere nato, cresciuto ed evolutosi per le strade con il fine ultimo di evitare le ingiustizie sociali e favorire l’integrazione. Le ottime premesse, qualche volta, cozzavano con i contenuti proposti nelle canzoni. Anche per questo si è finiti nelle aule di tribunale.

“Nel giugno del 1990, i 2 Live Crew furono arrestati in seguito a un’esibizione tenutasi in un club di Hollywood per soli adulti. Il giudice federale stabilì che i testi sessualmente espliciti nell’album As Nasty As They Wanna Be erano considerati osceni. Questa sentenza, insieme agli arresti e al processo successivo, provocò un intenso dibattito pubblico sulla musica rap, sulla rappresentazione del sesso, della violenza nella musica popolare, sulle diversità culturali e sul significato di libertà di espressione. Due furono le principali interpretazioni che videro i 2 Live Crewprotagonisti. George Will, editorialista politico dell’Abc e premio Pulitzer, condusse la campagna stampa contro il gruppo giudicando i testi dell’album come una «combinazione di estremo infantilismo e minaccia» che considerava le donne nere come un obbiettivo legittimo su cui esprimere violenza sessuale. La principale posizione a favore, invece, fu promossa dal professor Henry Louis Gates Jr., esperto in letteratura afroamericana. Quest’ultimo considerava i 2 Live Crew dei brillanti artisti che, con un fine politico, volevano far emergere gli stereotipi razzisti sulla sessualità nera, presentandoli in una forma comicamente estrema”, scrive Wissal Housabi su Jacobin Italia.

Da quella volta, infatti, molti esponenti del settore hanno cominciato a prendere coscienza di come – anche con un linguaggio estremo, che ribalta il teatro dell’assurdo – si possa arrivare a combattere una piaga sociale. Non è un caso, infatti, che dopo quella diatriba legale, molti rapper sono divenuti più consapevoli di certe realtà limite che portano alla misoginia e al razzismo. Altra piaga sociale combattuta a suon di rime. Insomma, un modo per dire che la violenza verbale – qualche volta – potrebbe servire per scuotere le coscienze su determinati temi anziché scandalizzarle. L’ardua sentenza, sul confine fra giusto e sbagliato, rimane ai posteri e ad un pubblico sempre più esigente e attento. Proprio per questo, forse, è bene sapere da dove arriva l’esigenza di determinate scelte artistiche che ancora oggi, non solo in Italia, fanno infervorare e discutere.

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