Non solo “The Irishman”, come abbattere il tabù del ringiovanimento digitale con successo

L’ultimo film di Martin Scorsese ha fatto scalpore per l’utilizzo della tecnologia digitale che ha ringiovanito i volti di Robert De Niro e Al Pacino. Quanto è utile questo espediente nella resa finale del girato?

Scorsese sul red carpet a Roma per “The Irishman” (Getty Images)

“Fotografia, foto-grafia, significa scrivere con la luce. La fotografia, il cinema, conferiscono una specie di immortalità. Una preminenza alle immagini e non alla vita reale”, a dirlo è stato il sociologo e professore canadese Herbert Marshall McLuhan. Sicuramente ci aveva visto più lungo di altri, o meglio non ha fatto in tempo a vedere quanto colleghi illustri e addetti ai lavori della Settima Arte avrebbero preso queste sue parole alla lettera.

Negli anni venti del nuovo millennio, infatti, stiamo assistendo a livello cinematografico ad un ringiovanimento generale. Badate bene: non è sempre una questione solo di anagrafe. Se le nuove leve devono sgomitare per arrivare alla ribalta, a diventare immortali ci pensano quelli della vecchia guardia. Al cinema è possibile anche questo, soltanto che un tempo – per rivedere un mito della celluloide ai suoi fasti – bisognava premere il tasto rewind e ripescare materiale datato. Oggi la differenza la fa la tecnologia: non ci stupiamo più di tanto, quindi, se nell’ultimo film di Martin Scorsese – “The Irishman” – vediamo Robert De Niro e Al Pacino ringiovaniti di trent’anni. Laddove non arriva il chirurgo, ci pensa la tecnologia digitale.

La gioventù come valore aggiunto: il successo della tecnologia digitale in sei film

Francis Ford Coppola, regista de “Il padrino” (Getty Images)

Nei primi anni Settanta, all’uscita de “Il padrino – parte II”, Francis Ford Coppola scritturò Robert De Niro per interpretare un giovanissimo Vito Corleone. Un tempo, per ricercare le fattezze giovanili di un determinato personaggio, si doveva ricorrere alla somiglianza: l’importante era cercare un attore che ricordasse quel determinato protagonista in tenera età. In tal caso, De Niro vestiva i panni di un Marlon Brando (alias Vito Corleone) in erba. L’obiettivo – raggiunto con successo – era far gettare al pubblico uno sguardo sul passato del boss mantenendo una parvenza di verosimiglianza.

Se Coppola dovesse fare “Il padrino – parte II” oggi, per intenderci, non avrebbe bisogno di chiamare Robert De Niro: avremmo un’interpretazione magistrale in meno? Forse, ma il punto è che Marlon Brando – grazie alla tecnologia digitale – avrebbe potuto essere giovane e anziano con l’immediatezza di qualche click. Infatti, se decenni fa, per arrivare alla metamorfosi perfetta dal punto di vista estetico, si ricorreva esclusivamente al trucco, attualmente è possibile fare affidamento ai progressi della tecnica digitale.

Ciò vuol dire, fra le altre cose, che uno come Scorsese – che Robert De Niro l’ha richiamato per davvero – può permettersi di dire: “Non voglio nessun attore giovane che interpreti i miei protagonisti nel passato” e gustarsi – con l’ausilio del computer – perfetti flashback interpretati dagli attori stessi, poi rimaneggiati e resi credibili esteticamente dall’apporto delle tecnologie avanzate. Questo comporta una maggiore affidabilità dal punto di vista scenico, perchè un attore che ha fatto proprio un personaggio in età avanzata saprà trovare l’adeguata chiave di lettura anche quando si tratterà di interpretare lo stesso carattere ringiovanito, e una minore possibilità per le nuove leve di emergere. La tecnologia dà, la tecnologia toglie. Ma sono rischi che qualunque regista è disposto a correre.

Infatti, non solo Scorsese si è fatto prendere la mano dalla voglia di svecchiare – diciamo così – i propri attori in scena. L’ausilio della tecnologia digitale ormai è sempre più utilizzato (anche e soprattutto per alimentare il dibattito fra puristi e avanguardisti). Ecco una classifica in grado di mostrare e dimostrare quando ringiovanire agli attori è convenuto, una serie di film divenuti celebri (anche) attraverso l’uso di questa particolare tecnica.

“Gemini Man” (2019), con Will Smith. L’attore, 51 anni, combatte contro il suo doppio 23enne. Ang Lee, stavolta, si è lasciato prendere la mano: se inizialmente la versione giovane di Smith sembra essere accattivante, con il passare delle scene ci si rende conto di quanto effettivamente questa ‘riproduzione’ sia fatta di gomma. Non sempre un upgrade high-tech corrisponde a un miglioramento.

“Captain Marvel” (2019), con Samuel L. Jackson. Il ringiovanimento digitale su “Nick Fury” funziona perché la sua interpretazione è divertente, soprattutto quando ha a che fare con il gatto Goose, che è la vera star del film.

“Ant-Man and Wasp” (2018), con Michelle Pfeiffer. La scena è un addio carico di emotività in cui il personaggio della Pfeiffer deve salutare la figlia e, nonostante le tante sfumature espressive e il primo piano spinto, sembra di viaggiare nel tempo e di rivedere Michelle ai tempi di Batman – Il ritorno.

“Pirati dei Caraibi – la vendetta di Salazar” (2017), con Johnny Depp. Per mostrare come Jack Sparrow sia diventato capitano, condannando il Salazar di Javier Bardem, il quinto capitolo dei Pirati ringiovanisce Depp: a primo impatto sembra di vedere il Johnny di 21 Jump Street, ma quando apre la bocca, la magia si dissolve.

“Rogue One” (2016), con Carrie Fisher. La compianta attrice adorava quest’apparizione: alla fine del film, la sua principessa Leia si volta a favore di telecamera e pronuncia una sola battuta – “Speranza” –. La Fisher sarebbe morta poche settimane dopo l’uscita. E questo ha reso il suo cameo memorabile.

“Il curioso caso di Benjamin Button” (2008), con Brad Pitt. Quello su Brad Pitt nei panni di Benjamin Button, l’uomo che nasce vecchio e muore giovane, è uno dei primi esperimenti (risale al 2008), ma resta uno dei più potenti esempi di come usare bene questa tecnologia: solo David Fincher poteva rischiare tanto. Premio Oscar per gli effetti speciali e inizio di una rivoluzione.

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