Lavoro | Scrivere il CV dei fallimenti aiuterebbe a trovare un impiego, lo studio di Princeton

Nasce a Princeton l’idea di redigere una pagina del Curriculum Vitae dedicata al fallimento, con questo metodo, ci sarebbero maggiori possibilità di trovare un impiego. L’esempio di Francesca Corrado.

Ammettere i propri insuccessi per trovare lavoro (Istock)

È così difficile trovare lavoro che, ormai, per presentarsi bisogna saper porre all’attenzione di un papabile datore di lavoro dettagli interessanti. Qualcosa che nessun altro abbia e che, magari, stanno cercando. Questo è alla base di ogni buona – e necessaria – candidatura. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, perchè ormai si ha l’impressione che tutti abbiano tutto, ciascuno sappia (e soprattutto possa) fare qualunque cosa e sembriamo sempre inadatti. O peggio ancora: eccessivamente qualificati.

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Forse, e provano a farlo notare dall’Università di Princeton, c’è difficoltà a trovare un impiego poiché siamo sommersi da candidature sempre e comunque impeccabili. Facciamo troppo del nostro meglio, almeno sulla carta. Ci presentiamo in maniera inappuntabile, credendo di far colpo, senza contare quanto questa immagine che restituiamo a primo impatto sia fallace.

Il Curriculum dei fallimenti, come rendere accattivante un insuccesso

Mettere nel CV i propri fallimenti aiuterebbe nella ricerca di un impiego

Chi dovrebbe assumere cerca, dicono da Princeton, innanzitutto garanzie, affidabilità e trasparenza: se ci facciamo vedere perfetti in tutto, il datore di lavoro (presunto) avrà a portata di mano una sfilza di eccellenze al punto che non saprà mai dove inizia la verità e finisca l’autocompiacimento. Dall’America fanno capire che manca, presumibilmente, un ritorno alla normalità.

Quando scrivete, per intenderci, elevata capacità di Problem Solving e poi frignate non appena c’è da inviare una PEC, capite bene che il datore di lavoro si trova di fronte ad un’incongruenza difficile da gestire. Per questo si viene scartati, mancanza di sincerità. Troppa.

Quindi, sull’onda di questa consapevolezza, Francesca Corrado ha creato delle vere e proprie “Scuole di fallimento”. Insegna alle aziende l’importanza di tollerare una débâcle e ammetterla: particolare presa su dipendenti e sottoposti. “Quello di tollerare gli errori propri e altrui e quello di ritentare l’impresa dopo un primo insuccesso sono valori da cui ripartire per aumentare la produttività e la disponibilità al lavoro”, ha spiegato a Vanity Fair.

In effetti, come dimostrano le esperienze irlandesi e americane, chi ha avuto il coraggio di metter sul Curriculum una pagina dedicata ai propri fallimenti si è dimostrata una persona migliore e più umile, in grado davvero di mettersi in gioco – sul lavoro e nella vita – con più grinta e senza sconti.

Nel nostro Paese c’è ancora qualche difficoltà a far questo, secondo la Corrado: “Gli italiani hanno ancora un atteggiamento poco propenso alle seconde possibilità perché si vive nella convinzione che tutto debba essere gestibile, non sempre è così”.

Insomma, esiste una gestione anche del nostro lato peggiore. Invece di nasconderlo, mettiamolo a frutto, magari può nascere qualcosa di inatteso e, perchè no, potrebbe arrivare quella chiamata tanto attesa. In fin dei conti, lo diceva anche De Andrè: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Il punto è che forse non ci abbiamo quasi mai creduto.

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