Il disturbo alimentare selettivo dei bambini: cos’è e come intervenire

Il disturbo alimentare selettivo dei bambini che rifiutano il cibo o lo selezionano ossessivamente: cos’è questo disturbo e come riconoscerlo? Sintomi e cure

bambini e verdure disturbo alimentare selettivo dei bambini (Istock Photos)

La maggior parte dei bambini in tenera età fanno i cosiddetti “capricci” sul cibo. Ma quando questi capricci non sono più dei semplici capricci  ma un vero e proprio disturbo alimentare? Questo disturbo non è molto noto poiché è facile venga “confuso” dai genitori come semplice capriccio o fase passeggera del bimbo e che poi passerà con la crescita. MA non sempre è così e per alcuni bimbi questo diventa un vero e proprio problema da affrontare ogni giorno a tavola. Come si presenta questo disturbo alimentare selettivo? E quali sono i segnali e i sintomi che nostro figlio potrebbe accusare verso questa patologia? Cerchiamo di fare chiarezza spigando bene cos’è questo disturbo e come si presenta, come intervenire e come porre rimedio al più presto tramite un’attenta analisi psicologica.

I bambini con alimentazione selettiva si limitano a mangiare una gamma ristretta di cibi preferiti, rifiutandosi di mangiare altri cibi spesso più sani. Questo è uno dei sintomi a cui porre attenzione.  Scopriamo di più sul disturbo noto anche come Arfid.

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Disturbo alimentare selettivo dei bambini: cos’è

disturbo alimentare selettivo dei bambini, cos’è (Istock Photos)

Il disturbo alimentare selettivo dei bambini è quella che gli inglesi chiamano con l’acronimo Arfid: disturbo evitante-restrittivo nell’assunzione di cibo è un nuova tipologia di disturbo del comportamento alimentare inserita nell’ultima versione del DSM, la “bibbia” degli psichiatri. Colpisce soprattutto i bambini, già da 2-3 anni fino alla preadolescenza, e in particolare i maschi. Il bambino/a che ne soffre di fatto evita il cibo, se ne disinteressa, oppure lo seleziona in modo molto accurato, mangiando per esempio solo cibi di un certo colore o di una certa consistenza. Altri, invece, non mangiano perché hanno proprio paura di farlo, magari perché hanno visto qualcuno ha che ha rischiato di soffocare per un boccone andato di traverso, oppure la brutta esperienza è capitata a loro stessi. In questo caso di parla di disfagia funzionale. Altri ancora si mostrano completamente disinteressati al cibo, a tavola sono svogliati, non lo cercano né desiderano qualcosa in modo particolare. Perché si possa parlare di disturbo non basta che qualche volta un bambino si mostri schizzinoso o capriccioso. A volte certi atteggiamenti sono solo passeggeri, oppure sono espressioni di un certo temperamento innato del bimbo e non sono certamente una spia per un disturbo alimentare. Una percentuale tra il 14% e il 20% dei genitori di bambini in età pre-scolare (2-5 anni di età) riferisce infatti che i loro figli appaiono spesso o sempre selettivi nelle loro scelte alimentari.

Molti bambini possono rifiutare il cibo in base a caratteristiche sensoriali come il gusto, l’odore, il colore o la consistenza, e la richiesta d’aiuto è solitamente motivata dall’impatto che il fenomeno ha sul funzionamento sociale del ragazzino, come feste di compleanno, gite scolastiche o cene di classe. Generalmente, questi bambini presentano un peso ed un’altezza adeguati all’età e non manifestano preoccupazioni per il peso o la forma del corpo. Nella maggior parte dei casi il bisogno di adeguarsi al gruppo in adolescenza porta a una risoluzione spontanea del problema.

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Le cause che sono alla base di un disturbo alimentare selettivo

disturbo alimentare selettivo, le cause (Istock)

L’alimentazione rappresenta un aspetto fondamentale dello sviluppo infantile, tanto da poter essere considerata una linea evolutiva verso l’affermazione dell’autonomia. È proprio all’interno dell’interazione madre-bambino durante l’allattamento, lo svezzamento e la transizione verso l’alimentazione autonoma che si colloca, infatti, l’acquisizione di abilità di auto-regolazione e di interazione sociale.

Grazie all’interazione con la madre o il padre durante il momento dei pasti, in parallelo con lo sviluppo di capacità cognitive e motorie e la sempre maggiore differenziazione della vita affettiva, il bambino inizia a sperimentare la propria autonomia anche in campo alimentare. È proprio all’interno di tale percorso evolutivo che si osservano le prime forme di difficoltà alimentari. Nella maggior parte dei casi esse sono transitorie, in quanto rappresentano l’espressione di difficoltà evolutive temporanee, di lieve entità e tendono a risolversi spontaneamente in tempi rapidi. In altri casi, le anomalie che si osservano possono persistere nel tempo e assumere un carattere di disfunzionalità, tale da configurarsi come veri e propri Disturbi del Comportamento Alimentare o dei loro potenziali precursori. Un ruolo di primaria importanza nell’origine e mantenimento di pattern alimentari anomali sembrano svolgere alcuni comportamenti errati e maladattivi da parte dei genitori. Diversi studi, infatti, hanno messo in luce alcuni aspetti disfunzionali della relazione genitori-figlio che possono rendere difficili i processi di mutua regolazione e di autonomizzazione del bambino durante l’esperienza dell’alimentazione. Oltre che a tali aspetti, la scienza mostra diversi altri aspetti legati alla familiarità di questo disturbo con pattern disfunzionali presenti in famiglia oltre a fattori di tipo genetico come una ipersensibilità specifica sensoriale.

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A volte, invece, i comportamenti evitanti o restrittivi sono espressione di una causa organica, di un problema fisico sottostante: un’intolleranza alimentare, la celiachia, un reflusso gastroesofageo molto accentuato. O, ancora, di un disturbo del neurosviluppo: nel caso di disturbi dello spettro autistico, per esempio, la selettività alimentare è un atteggiamento molto frequente.   Non è finita: in alcuni casi, tale disturbo diventa un modo per esprimere qualche difficoltà emotiva o relazionale. Può succedere se ci sono forti tensioni in famiglia, in caso di una fortissima timidezza, oppure in presenza di un disturbo di apprendimento non diagnosticato come la dislessia. Parliamo di bambini intelligenti e capaci, che quando cominciano ad andare a scuola si rendono conto che c’è qualcosa che non va: allora possono manifestare il proprio disagio evitando o selezionando molto il cibo.

Il ruolo del fattore percettivo nello sviluppo di un fenomeno come l’alimentazione selettiva si evince dalle diverse fasi dello sviluppo alimentare normale:

  • Nel primo anno di vita, i bambini imparano ad apprezzare i cibi ai quali vengono esposti frequentemente, sulla base di informazioni di tipo visivo, gustativo, di consistenza. L’informazione sensoriale non è ancora integrata in una visione unitaria, per cui la familiarità di un alimento si basa sui dettagli sensoriali, senza capacità di integrazione o generalizzazione.
  • Dai 18 ai 20 mesi, la fase della neofobia: con lo sviluppo della tendenza esplorativa, si colloca questa fase detta neofobia durante la quale i cibi che non vengono considerati come sicuri, ovvero quelli non riconosciuti come familiari, perché nuovi oppure perché presentati in una modalità non riconosciuta come nota, possono avere una risposta di disgusto. Tale reazione assume un valore adattivo, proteggendo il bambino dall’assunzione di cibi tossici durante l’esplorazione. Generalmente, la fase della neofobia termina entro il terzo anno di età e solo raramente dura fino ai 5 anni. Progressivamente, i bambini iniziano a imitare il comportamento dei coetanei e ad avere una visione più integrata del cibo, cosi come degli oggetti in generale.

I comportamenti tipici di chi soffre di Disturbo alimentare selettivo

Capricci a tavola: come evitarli disturbo alimentare selettivo (Istock)

Alcuni indicatori utili a identificare bambini con disturbo da alimentazione selettiva potrebbero essere i seguenti comportamenti tipici:

  • Il bambino mangia solo i cibi preferiti
  • Si distrae mentre mangia, manifesta scarso interesse per il cibo
  • Assume alcuni alimenti solamente se “nascosti” all’interno di cibi o bevande preferiti
  • Consuma il pasto con lentezza e raggiunge velocemente la sazietà
  • Rifiuto di assumere cibi conosciuti o di assaggiarne di nuovi, abbastanza grave da compromettere il funzionamento e la routine quotidiana ad un livello che può risultare problematico per il bambino, i genitori o la loro relazione.
  • Consumo di una insufficiente quantità o varietà di cibo come conseguenza del rifiuto di alcuni alimenti.
  • Numero limitato di alimenti nella dieta, rifiuto di assaggiare cibi non conosciuti, scarso apporto di verdura o di altre categorie alimentari, rigide preferenze alimentari e richiesta di una modalità particolare di preparazione dei cibi.

Ad oggi, non esiste una definizione univoca e universalmente accettata del fenomeno dell’alimentazione selettiva, anche a causa della varietà di termini utilizzati dai vari studiosi per descriverlo, tra cui picky eatingfussy eatingchoosing eating e faddy eating. Risulta difficile, di conseguenza, anche valutarne la presenza e gravità. Forse uno dei criteri accettati per valutare se un bimbo è affetto da disturbo alimentare selettivo è il suo aspetto fisico, dunque l’aspetto clinico del paziente che comporta difficoltà o rallentamento nello sviluppo psicofisico e carenze nutrizionali, oltre a difficoltà relazionali all’interno della famiglia.

Come intervenire sul disturbo di alimentazione selettiva

dieta famiglia disturbo alimentare selettivo, come intervenire (Istock)

Il Disturbo da alimentazione selettiva è multifattoriale e può essere di origine medica, biologica, psicologica, ambientale e anche derivante dall’interazione di più fattori. Lo sviluppo di un comportamento alimentare selettivo può derivare da fattori come

  • la pressione a mangiare
  • alti livelli di emozionalità negativa nel bambino o nel genitore
  • maggiore sensibilità agli stimoli sensoriali da parte del bambino
  • stili o pratiche legate all’alimentazione, incluso il controllo genitoriale
  • fattori più specifici come l’assenza di un allattamento al seno o l’introduzione di un’alimentazione complementare prima dei 6 mesi .

Per questi motivi è  importante riconoscere questa problematica fin dalla più tenera età, per supportare la crescita, un apporto alimentare adeguato e delle interazioni bambino – genitore che possano favorire uno sviluppo sano e il più possibile sereno. Vediamo in particolar modo le cause che possono influire sullo sviluppo del disturbo selettivo alimentare

1. Le cause organiche

disturbo alimentazione selettivo (Istock Photos)

Ovviamente la prima cosa da fare è escludere l’esistenza di cause organiche, quindi capire se questo “disturbo” non sia solo un problema legato, per esempio ad un’allergia come il latte o una patologia come la celiachia o altro. Se invece si capisce che c’è un disagio emotivo o relazionale sottostante, si lavora su quel disagio, che tipicamente dipende della relazione con i genitori, così come abbiamo descritto in precedenza. Per i genitori non è un percorso facile:occorrono molto tempo, molta pazienza, molta voglia di provare a divertirsi con i propri figli su un tema che è invece spesso critico e delicato.

2. Le cause sociali

Bambini che ridono di fronte al rimprovero Disturbo alimentare selettivo (Istock)

Dopo aver stabilito che il proprio bambino non è solo schizzinoso, ma presenta un problema che influisce in modo importante sul suo funzionamento sociale, sulle relazioni familiari e sull’apporto equilibrato dei diversi nutrienti, è importante innanzitutto rivolgersi al medico per escludere una condizione di tipo organico (es. intolleranza verso certi alimenti, celiachia).

3. L’educazione alimentare

disturbo alimentazione selettivo (Istock)

Un consiglio utile è focalizzarsi sull’educazione alimentare più che sul mangiare; esplorare il cibo è infatti più facile quando è completamente slegato dall’alimentarsi. E’importante parlare del cibo in termini di gusto, aroma, apparenza, consistenza, temperatura, suono, origine, prima che i bambini ne mettano un boccone in bocca. Più informazioni sanno, più coraggiosi saranno. Anche il cucinare insieme può essere un’attività utile; se infatti l’obiettivo non è solo quello di far mangiare al bambino ciò che è stato preparato, può aiutare i figli a prendere maggiore confidenza e familiarità con gli alimenti. Questa attività inoltre soddisfa le esigenze affettive, la spontanea curiosità del bambino, il desiderio di sentirsi grandi e importanti, l’imitazione dei genitori e anche l’appetito.

4. Serenità e pazienza dei genitori

Bambini narti da genitori più maturi hanno meno problemi comportamentali disturbo alimentare selettivo, il ruolo dei genitori (Istock)

Se il bambino comincia a essere un po’ selettivo, non preoccuparsi subito. Può essere una fase e può dipendere dai gusti che, come dicevamo, possono essere addomesticati. Però non bisogna stancarsi di riproporre più volte gli alimenti che vengono rifiutati: non nella stessa giornata, ovviamente, ma a distanza di qualche giorno. Se pur mantenendo un atteggiamento equilibrato e non troppo apprensivo si ha la sensazione di qualcosa che non va, contattare il pediatra, che può eventualmente indirizzare a un centro specialistico per la diagnosi e il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare.

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5. Il ruolo fondamentale della famiglia

famiglia a tavola disturbo alimentare selettivo (Istock Photos)

Quando un figlio inizia a manifestare un rapporto alterato con il cibo, l’intera famiglia entra in crisi, soprattutto se il bambino non è ancora in grado di parlare. L’alimentazione selettiva e il rifiuto verso nuovi alimenti genera nei genitori un profondo disorientamento. L’atmosfera familiare risente delle difficoltà legate ai momenti dei pasti e i genitori, in particolare il familiare che si occupa maggiormente dell’alimentazione del bambino, sia in termini di preparazione dei piatti sia di presenza durante il pasto, inizia a provare emozioni negative che non sempre aiutano nella risoluzione del problema. L’ansia riguarda il fatto che i bambini non ricevano un’adeguata nutrizione sia in termini di quantità che di varietà. La rabbia manifestata nei continui conflitti durante i pasti viene legata al senso di frustrazione per i continui rifiuti dei figli verso nuovi alimenti. Evitare anche atteggiamenti molto rigidi o controllanti, con punizioni, ricatti, premi supplementari. Frasi del tipo “Se non mangi non puoi uscire a giocare”, “Se mangi questa verdura poi puoi guardare un po’ di tv” e vere e proprie punizioni – che possono innescare comportamenti oppositivi – sono proprio da abbandonare.

In conclusione, si può quindi affermare che sia fattori intrinseci al bambino (temperamento, ipersensibilità sensoriale) sia elementi ambientali (pressione a mangiare, stile genitoriale, abitudini alimentari dei genitori, facile rinuncia nell’offrire cibi nuovi) contribuiscono a determinare le attitudini dei bambini sia verso i cibi familiari che non familiari. Da qui deriva l’importanza di dare una buona educazione alimentare ai genitori per primi, sia riguardo il valore nutrizionale dei cibi, sia riguardo la comprensione di alcuni comportamenti manifestati dai bambini.

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