Reddito di cittadinanza: la verità che non ci dicono

Il reddito di cittadinanza è una misura molto discussa da sempre: c’è chi sostiene che sia un mezzo per evitare di lavorare e guadagnare lo stesso, ma la verità potrebbe essere molto diversa.

Il reddito di cittadinanza è davvero un mero mezzo per evitare a tantissimi giovani – e persone adulte anche ovviamente – di guadagnare senza lavorare?

reddito di cittadinanza
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Questo era quello che aveva affermato non molto tempo fa Flavio Briatore, affermatissimo imprenditore che lamentava solo pochi mesi fa l’impossibilità di trovare giovani disposti al sacrificio, perché adagiati sul sussidio.

Sulla sua scia, tantissimi altri imprenditori, come Alessandro Borghese (prima di lui) e Karina Cascella (dopo di lui), che avevano affermato più o meno le stesse cose, solo con parole diverse.

In effetti, dalle ultime rivelazioni Istat, emerge un quadro del tutto diverso: in realtà è il reddito di cittadinanza ad aver evitato alle persone di trovarsi in condizioni di povertà assoluta. E non parliamo di piccoli numeri, ma di un milione di italiani.

Quello che dovresti sapere sul reddito di cittadinanza

Un milione di italiani oggi non si trova in condizione di povertà assoluta grazie al reddito di cittadinanza e al reddito di emergenza.

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Ad affermarlo è l’Istat, nel suo rapporto annuale sulla situazione economica e sociale del Paese.

In sostanza, circa 500mila famiglie si sarebbero trovate in una condizione di povertà di 10 punti percentuali più alta, che nel caso avrebbe raggiunto il 28,8% (a fronte del 18,7% odierno).

E questo pare essere stata una fortuna enorme da un lato, ma un semplice “palliativo” dall’altro.

Questo perché dal 2005 al 2021 – passando quindi per la pandemia e la conseguente crisi economica e, prima ancora, tra il 2007 ed il 2008 per la prima crisi finanziaria – il numero di persone in povertà assoluta è quasi triplicato.

All’epoca non arrivava a due milioni (erano 1,9 milioni le persone ritenute povere) mentre oggi sono 5,6 milioni e la percentuale si attesta attorno ai 9,4% del totale.

Questo per quanto riguarda persona singole. Ma per le famiglie la situazione non migliora affatto: sono comunque raddoppiate passando da 800 mila a 1,96 milioni (7,5%).

Ma quali sono le categorie più colpite? I minori, che sono passati dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021 ed i giovani compresi tra i 18 ed i 34 anni, passati dall’essere il 3,1% all’essere l’11,1%.

E per quanto riguarda i lavoratori? Un milione di dipendenti del settore privato percepiscono un salario inferiore a quello minimo previsto dal Parlamento, che dovrebbe essere di 9 euro all’ora (mentre loro prendono 8,41 euro).

In questo quadro – già abbastanza drammatico – si inserisce l’inflazione, che oggi si attesta intorno all’8%, raggiungendo picchi mai visti prima. La conseguenza diretta (a parte il caro prezzi)? L’erosione dei salari, che già prima erano i più bassi d’Europa.

Nell’ultimo anno, secondo i dati emersi dalle rilevazioni dell’Istat, i prezzi sono cresciuti talmente tanto che alla fine dell’anno potremmo osservare una variazione del 6,4%.

Cosa significa? Che otterremo un adeguamento dei salari, che quindi tornerebbero entro dicembre 2022 sotto i valori del 2009.

E questo è un male soprattutto se si pensa che nel 2021 – ed anche nei primissimi mesi del 2022 – le retribuzioni contrattuali per dipendente erano aumentate dello 0,7%.

E c’è di più, perché il problema dell’inflazione è anche la sua capacità di incrementare le disuguaglianze sociali, dal momento che questa colpisce molto di più le famiglie già a basso reddito. Per queste ultime, infatti, l’inflazione si è attestata intorno al 9,4%, a fronte del 6,1% delle famiglie più abbienti.

Quello che colpisce maggiormente la famiglie con ISEE già basso è l’aumento dei prezzi dei beni e servizi essenziali, come i beni alimentari e l’energia. Secondo i dati, infatti, il 63% della spesa di queste famiglie è destinato proprio all’energia.

Sempre nel report redatto dall’Istat poi un altro enorme problema è rappresentato dal blocco delle assunzioni e dalle riforme pensionistiche, che hanno portato a ridurre le assunzioni nella sfera pubblica in modo drastico.

Si stima che circa 200mila occupati in meno ci siano oggi e che “tra le economie europee i dipendenti pubblici in Italia sono i meno numerosi in rapporto alla popolazione (5,6 ogni 100 abitanti) e i più anziani”.

Infine, sempre secondo le rilevazioni Istat, in un un milione e 900 mila famiglie l’unico componente occupato è un lavoratore a tempo determinato, collaboratore o in part – time involontario.

Questi rappresenterebbero il 21,7% del totale e sarebbero oggi quasi 5 milioni. Di questi 816mila sono doppiamente vulnerabili perché contemporaneamente lavorano sia a tempo determinato che in part time.

I lavoratori definiti “non standard” sono il 39,7% degli occupati under 35, il 34,3% dei lavoratori stranieri e il 28,4% delle lavoratrici. E la percentuale arriva a toccare il 47,2% delle donne under 35 e il 41,8% delle straniere.

A proposito della condizione dei lavoratori, ecco cosa è emerso dal rapporto Istat.

In ogni caso adesso è chiaro che, per quanto sia controverso, il reddito di cittadinanza non ha fatto solo “danni”, ma ha anche avuto delle conseguenze positive sulla popolazione italiana.

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