Yara Gambirasio, 10 anni fa la scomparsa: ripercorriamo l’accaduto

A dieci anni dalla scomparsa di Yara Gambirasio ripercorriamo le principali tappe del caso e scopriamo gli ultimi aggiornamenti sulla vicenda giudiziaria.

yara gambirasio 10 anni
Foto da Instagram @
marco.codognotto9193

Sono trascorsi 10 anni da quando, la sera del 26 novembre 2010, Yara Gambirasio, 13enne di Brembate Sopra, nella Bergamasca, usciva di casa per non farvi mai più ritorno.

Il suo corpo senza vita verrà ritrovato solo tre mesi dopo, in un campo a Chignolo d’Isola.

Dopo lunghe e complesse indagini l’omicidio sarà attribuito a Massimo Bossetti, un muratore incensurato di Mapello di 44 anni, condannato il 12 ottobre 2018 in via definitiva all’ergastolo.

Sebbene il caso appaia dunque concluso non si è mai smesso di discutere attorno alle sue complesse dinamiche e l’Italia si è divisa tra chi ritiene Bossetti colpevole e chi invece ne sostiene l’innocenza.

Ancora oggi dalla cella di Bollate in cui è detenuto, Massimo Bossetti grida la sua innocenza attraverso l’avvocato Claudio Salvagni che affida le parole del suo assistito all’Adnkronos:

“Yara non ha avuto giustizia, io sono dietro le sbarre ma non sono il colpevole. […] Non voglio uscire per un cavillo, voglio uscire perché la perizia sul Dna dimostra che non sono un assassino”

Ma perché questo caso resta, 10 anni dopo, ancora tra i più discussi d’Italia? Sicuramente un ruolo importante lo gioca la giovanissima età della vittima, seguita dall’efferatezza con cui ne è stata provocata la morte ma, soprattutto, dalla complessità delle indagini.

Il primo sospettato fu arrestato e poi scagionato, il ritrovamento del corpo avvenne secondo dinamiche veramente particolari e le modalità di individuazione dell’omicida furono a dir poco complesse.

Cerchiamo allora di fare chiarezza quantomeno sui fatti noti e, a dieci anni dal loro svolgimento, ripercorriamo la dinamica di quella che appare come una delle molte storie di violenza sulle donne che macchiano ogni giorno il nostro Paese. Una storia questa volta dall’esito a dir poco drammatico.

Yara Gambirasio, la storia

yara gambirasio morte
Foto da Instagram @caramellabuonaonlus

Era il 26 novembre 2010, un venerdì, quando Yara Gambirasio uscì di casa attorno alle 17.30 per recarsi nel centro sportivo di Brembate di Sopra, dove praticava la ginnastica ritmica.

Diversi testimoni confermano che rimase lì fino circa alle 18.40 ma le telecamere di sorveglianza del centro sportivo erano tutte fuori uso e ciò rende più difficile ricostruire gli spostamenti della ragazza. Ci si affida dunque al cellulare e alle celle a cui si è agganciato in quelle ore: alle 18:44 la cella di Ponte San Pietro via Adamello settore 9, alle 18:49 la cella di Mapello, a tre chilometri da Brembate Di Sopra, e alle 18:55 aggancia la rete per l’ultima volta tramite la cella di Brembate di Sopra in via Ruggeri. Poi il segnale scompare.

Il primo ad essere fermato l’operaio marocchino Mohammed Fikri, che lavora in un cantiere edile di Mapello, dove i cani sembrano aver rilevato l’ultima traccia di Yara. L’operaio risulterà poi del tutto estraneo alla vicenda: le accuse si erano basate su una traduzione rivelatasi poi errata di un’intercettazione telefonica (era stato tradotto “che Allah mi perdoni” al posto di “che Allah mi protegga”).

Sarà un aeromodellistiche a ritrovare per puro caso il corpo di Yara a tre mesi dalla scomparsa, il 26 febbraio 2011. Il suo corpo giace in un campo aperto a Chignolo d’Isola, 10 chilometri circa da Brembate di Sopra, letteralmente martoriato: numerosi colpi di spranga, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio. Ma la morte non sarebbe arrivata a causa delle lesioni: il freddo e l’indebolimento dovuto ai traumi hanno fatto spegnere la ragazza.

Trascorreranno altri tre anni prima che il 16 giugno 2014 venga arrestato Massimo Giuseppe Bossetti. Il suo DNA appare compatibile con quello dell’uomo definito “Ignoto Uno”, rilevato sugli indumenti intimi di Yara in zona colpita da arma da taglio e ritenuto dall’accusa l’unico riconducibile all’assassino.

Si apre così la prima indagine in Italia basata totalmente sulla genetica, su una capillare ricerca di laboratorio che risale alberi genealogici, svela relazioni clandestine e indaga prelevando campioni a tappeto su gran parte della popolazione locale.

Solo dopo molti tentativi, cercando l’allele 26 presente nel profilo nucleare di “Ignoto 1”, si riesce a individuare la donna il cui DNA nucleare corrisponde alla metà materna del profilo nucleare di “Ignoto 1”. Mediante un controllo stradale con “test del palloncino” viene prelevato il DNA a uno dei due figli della signora, Massimo Bossetti, che la pubblica accusa identifica come corrispondente a quello di “Ignoto 1”.

Massimo Bossetti si dichiara da subito innocente e la moglie sostiene di esser stata con lui a casa durante le ore dell’omicidio. La difesa contesta la prova genetica per la mancanza di DNA mitocondriale di Bossetti, DNA invece presente in un altro campione ma non riconducibile né alla vittima né all’accusato.

Le indagini si concludono il 26 febbraio 2015. La procura indica Bossetti come unico colpevole e ne chiede il rinvio a giudizio.

Il 27 aprile 2015 si apre con l’udienza preliminare davanti al GUP del tribunale di Bergamo il processo di primo grado, con l’accusa di omicidio volontario aggravato e calunnia nei confronti di un collega. Il GUP decide l’apertura del processo davanti alla Corte d’assise per il 3 luglio 2015.

Massimo Bossetti sarà condannato all’ergastolo il primo luglio 2016 dalla Corte d’Assise di Bergamo, che lo assolverà invece dal reato di calunnia. La Corte riconosce inoltre l’aggravante della crudeltà e revoca a Bossetti la responsabilità genitoriale sui suoi tre figli.

Il processo d’appello si apre il 30 giugno 2017 e confermerà la sentenza di primo grado, nonostante alcune nuove prove portate dalla difesa che sostiene lo spostamento del corpo della vittima e il DNA depositato molto dopo il delitto.

Bossetti continua però a gridare forte la sua innocenza e lo fa anche attraverso una lettera inviata a Vittorio Feltri, direttore di Libero.

A intervenire sarà poi anche il noto avvocato Carlo Taormina (non membro del team legale del muratore), che presenta come privato cittadino un’istanza di riesame del DNA alla procura, al fine di ottenere la revisione del processo per Massimo Bossetti.

Yara Gambirasio, ultimi aggiornamenti

Yara Gambirasio Massimo Bossetti
Foto da Instagram @news.newstv

Il giorno 29 novembre 2019, la corte d’assise di Bergamo ha dato autorizzazione alla difesa di Massimo Bossetti per riesaminare i reperti, tra cui gli indumenti della ragazza e le tracce di DNA conservate presso l’ospedale San Raffaele di Milano.

Per riesaminare tali materiali è stata chiesta la collaborazione di esperti del New Jersey e del Canada mentre la moglie di Bossetti, Marita Comi ha affidato a nuovi consulenti l’esame del furgone di proprietà del marito, quello su cui sarebbe salita Yara.

L’obbiettivo della difesa è ora arrivare alla richiesta di revisione del processo. Proprio su ciò si pronuncerà il prossimo gennaio la Cassazione, esaminando il ricorso presentato dagli avvocati Salvagni e Paolo Camporini.

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