Lella Costa, prefazione di Alice nel Paese delle Meraviglie

Lella Costa scrive la prefazione a Alice nel Paese delle meraviglie e inserisce una filastrocca che ogni donna dovrebbe leggere almeno una volta nella vita.

ritratto alice
Photo by Rischgitz/Getty Images

“Alice e la sua curiosità. Alice e il suo coraggio, la sua determinazione ad andare avanti comunque, a tutti i costi, pur di scoprire un altro pezzo di mondo, perché «io indietro non ci voglio andare» («Non faremo un passo indietro neppure per prendere la rincorsa»: mica per niente l’emittente che alla fine degli anni Settanta infiammava le piazze bolognesi, e non solo quelle, si chiamava Radio Alice).
Alice che non avrebbe potuto essere altro che una donna, e non soltanto per le predilezioni non sempre limpidissime del suo tormentato autore (il «casto pedofilo», come l’ha definito qualcuno, ha più volte affermato di amare tutti i bambini del mondo, a parte i maschi); non soltanto per le sue virtù, ma  anche per i suoi difetti, o debolezze, prima fra tutte la costante sensazione di essere inadeguata, inadatta, «sbagliata»”

A scrivere è Lella Costa, all’anagrafe Gabriella Costa, attrice, scrittrice e doppiatrice italiana, famosa soprattutto per i suoi monologhi teatrali.

Qui invece si presta a un ruolo decisamente inedito ma molto affascinante.

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Le sue parole colpiscono dirette nel cuore, soprattutto nel cuore di noi donne, facendoci scoprire chi è veramente Alice e perché le sue avventure nel Paese delle Meraviglie in realtà riguardano tutte noi.

Già perché Alice non è solo una buffa ragazzina un po’ troppo avventata e che si mette nei guai vivendo avventure al limite del reale; Alice è una donna, Alice siamo noi.

Lella Costa ci fa capire tutto ciò attraverso una meravigliosa riflessione ma, soprattutto, grazie a dei versi divenuti molto famosi.

Lella Costa e la filastrocca per Alice

Alice in Wonderland
Foto da Instagram @alice_enelpaisdelasmaravillas

La Prefazione della scrittrice e attrice Lella Costa a una nuova edizione della Alice di Carroll che la Baldini Castoldi Dalai manda in libreria il 9 marzo 2010.

Quella dell’attrice però non è una semplice prefazione ma molto più, un omaggio, una chiave di lettura regalata a chi acquista il volume e potrà scoprire un’Alice che forse non aveva mai conosciuto né nel libro né nelle varie rivisitazioni cinematografiche e non.

E’ un’Alice che incarna la quinta essenza dell’essere donna, il fascino dello spingersi oltre i propri limiti, la magia di esser adulte e bambine al tempo stesso.

Come capire tutto ciò? Iniziamo con la filastrocca che Lella Costa ha scritto per l’occasione.

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O troppo alta, o troppo bassa,
le dici magra, si sente grassa,
son tutte bionde, lei è corvina,
vanno le brune, diventa albina.

Troppo educata! piaccion volgari!
Troppo scosciata per le comari!
Sei troppo colta e preparata,
intelligente e qualificata,
il maschio è fragile, non lo umiliare,
se sei più brava non lo ostentare!

Sei solo bella ma non sai far niente,
guarda che oggi l’uomo è esigente,
l’aspetto fisico più non gli basta,
cita Alberoni e butta la pasta.

Troppi labbroni, non vanno più!
Troppo quel seno, buttalo giù!
Sbianca la pelle, che sia di luna
Se non ti abbronzi, non sei nessuna!

L’estate prossima, con il cotone
tornan di moda i fianchi a pallone,
ma per l’inverno, la moda detta,
ci voglion forme da scolaretta.

Piedi piccini, occhi cangianti,
seni minuscoli, anzi, giganti!

Alice assaggia, pilucca, tracanna,
prima è due metri poi è una spanna

Alice pensa, poi si arrabatta,
niente da fare, è sempre inadatta
Alice morde, rosicchia, divora,
ma non si arrende, ci prova ancora.

Alice piange, trangugia, digiuna,
è tutte noi,
è se stessa, è nessuna.

Lella Costa

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A spiegare fino in fondo il significato di questa filastrocca è la stessa autrice che completa così la su prefazione:

“Questa filastrocca – perdonate l’autocitazione – l’ho scritta per la mia versione teatrale di Alice, e non ne sarei mai stata capace senza la frequentazione assidua e benefica del suo autore: è stata la sua vertiginosa, travolgente capacità di giocare con le rime e i ritmi, a farmi osare tanto. L’ho pensata come un omaggio all’arte inarrivabile di questo diacono diafano, coltissimo, malinconico e geniale, e alla sua passione assoluta per le parole, per i giochi e le danze che con le parole si possono inventare. Alice vive di parole, si nutre di parole, parla sempre, non tace mai – un po’ come il ciuchino di Shrek, per capirci.”

Conclude poi Lella Costa spiegando come mai Alice è così cara al nostro cuore e perché quel nome evochi significati importanti che trascendono la semplice sera letteraria:

“Alice come nome, dunque, prima ancora o forse a prescindere dal personaggio: nome amatissimo e popolare giusto da una quarantina d’anni a questa parte, e infatti a portarlo sono soprattutto le nostre figlie sorelle nipoti.
Alice come metafora amatissima della possibilità di cambiare il mondo, di dare potere alla fantasia, e soprattutto, forse, di domare il tempo. Perché il tempo di Alice è elastico, circolare, vagabondo; è un presente continuo, va e torna, lo si può governare a piacimento, riavvolgere all’indietro o dilatare all’infinito; il tempo di Alice è sempre per sempre, è essere bambini e adulti insieme, impastati della materia di cui sono fatti i sogni, è sognare ed essere sognati; è farla finita una volta per tutte con la trappola mortale della cronologia, e dell’irreversibilità, e dell’unidirezionalità, e «una cosa alla volta», e «un passo dopo l’altro», e «ogni cosa a suo tempo», e «ogni stagione ha i suoi frutti»: non è vero! Time is always now, Time is on my side, We have all the time in the world…
Il tempo è una convenzione, il tempo è un gioco: «Battere il tempo? Ingannare il tempo? Ma Alice, immagino tu non abbia mai neppure parlato con il tempo!» «Secondo te, bambina, qualcuno avrebbe ammazzato il tempo?» «Avresti dovuto vedere il tempo che c’era ai miei tempi…»

Oh sì, avremmo dovuto, avremmo volto vederlo, quel tempo. E se ancora oggi almeno un po’ ci riusciamo, è grazie a un diacono inglese talmente affascinato da una ragazzina da dedicarle un capolavoro immortale e un segmento di anima, per sempre: «Mia cara Alice, per riuscire a dimenticarti sono andato a lezione di oblio».
Molti e autorevoli critici ed esegeti hanno definito quello di Alice un viaggio, e a buon titolo: viaggio fantastico, viaggio metaforico, viaggio simbolico, viaggio fiabesco, viaggio onirico. Un viaggio meraviglioso e meravigliante che comincia un giorno di tanto tempo fa, e comincia con un buco nella terra che conduce in un luogo sotterraneo pieno di simboli misteriosi e di personaggi inquietanti. E se comincia così, i casi sono due: o è la Divina Commedia oppure è Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie .

alice té
Foto da Instagram @
jeni.darling

Se dunque anche voi amate Alice forse ora potete comprendere un po’ meglio il significato di questa vostra passione: Alice siamo noi, il genere femminile in tutta la sua complessità, nel suo sentirsi perennemente inadeguata ma convinta al tempo stesso di arrivare fino alla fine del suo viaggio, a completare quel percorso un po’ folle in cui gioca con il tempo e si perde in una perenne altalena di eccessi, opposti e follie che solo una donna potrebbe vivere e gestire.

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