“Ho messo fine a una non relazione”: lettera aperta di un’innamorata moderna

Dare un nome alle cose le rende reali. E’ una piccola regola a cui solitamente non facciamo caso ma che diventa incredibilmente importante ogni qual volta qualcosa ci spaventa: definirci “malati” ci mette davvero in pericolo, definirci “disoccupati” ci fa sentire davvero falliti, definirci “fidanzati” ci fa davvero tremare le gamde.

In amore infatti accettare di essersi legati a una persona, rendere la cosa ufficiale, implica anche mettere in conto che qualche cosa potrebbe andare storto, che domani quell’amore potrebbe finire e lasciarci sole, depresse e con al sola compagnia di uan vaschetta di gelato. Prospettiva dura da accettare, vi pare? Ecco allora che nel XXI secolo ci siamo convinte di aver trovato la soluzione, la cura preventive alle pene d’amore: semplicemente non ci innamoriamo. Rifiutare di definire una relazione è il paracadute che abbiamo scelto contro le sofferenze del cuore: se quel ragazzo è solo uno che frequento e non il mio fidanzato, se stiamo bene insieme ma non ci lasciamo toccare dal sentimento, se ci esco ma non rendo la cosa ufficiale, ecco che, qualora tutto finisse, sarò immune dalla sofferenza.

Ma funziona davvero così? “Possiamo semplicemente evitare di amare, per non perdere?” Se l’è chiesto l’autrice della lettera aperta che vi proponiamo oggi: una riflessione sulle “non relazioni” made in XXI secolo.

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Lettera aperta sulle “non relazioni” 2.0

Qualche mese fa, ho messo fino ad una “non relazione”. Immagino che questo abbia reso l’evento una “non separazione”. Un mucchio di “non” a quanto pare. Ma abbiate pazienza, sto parlando di un problema reale.

A dire il vero, è una cosa piuttosto complicata. Di questi tempi tra appuntamenti online, flirt occasionali, generale disicanto verso la monogamia e compagnia bella, definire il vero status di un rapporto è come cercare di risolvere un cruciverba con pochissime definizioni a disposizione. Il risultato spesso appare inaffidabile, indecifrabile come minimo.

Indecifrabile anche per noi. Portiamo avanti “non relazioni” che non vengono mai definite (un vero enigma, lo so), che non possono essere “impacchettate” con cura e non sono mai descritte in maniera adeguata alle feste. (“Ti presento X, questa settimana mi piace lui”).

Divertente, ma un po’ stancante. Eppure, in qualche modo, tendiamo ad evitare la questione “definizione” come la peste. Non vogliamo apporre etichette.
Questo succede perché le non relazioni sembrano adattarsi molto meglio al contesto delle nostre vite sempre più imprevedibili. E, soprattutto per le donne, si adattano ai nostri nuovi ruoli. Le giovani donne in carriera non hanno più bisogno del supporto economico e sociale degli uomini. Nella maggior parte dei casi, queste donne cittadine e giovani hanno un sistema di sostegno emotivo così stabile che un ragazzo vi troverebbe posto con difficoltà.

Siamo così profondamente invischiati nei nostri mille progetti, nei nostri lavori, nella nostra vita sociale… come potrebbe esserci spazio per un partner vero e proprio?
E come impegnarci seriamente? Siamo abituati alle prove gratis di un mese, alle opzioni di pagamento a consumo: perché non adottare la stessa logica anche per la parte sentimentale della nostra vita?
Noi, che usiamo Tinder e Grindr, abbiamo accettato totalmente il fatto che la logica economica possa funzionare anche per le relazioni. Chiunque critichi Tinder per il suo approccio superficiale non capisce che, in realtà, è semplicemente efficiente. Vedi il profilo di una persona e decidi di approfondire o passare oltre. Veloce, indolore, facile.

Se vogliamo vivere in modo funzionale, non possiamo vincolarci. Dobbiamo continuare ad ottimizzare, e come sfruttare al meglio la propria vita quando non si è pronti ad accogliere il cambiamento? Quando non si è pronti a immaginare che la prossima conquista sexy sia proprio dietro l’angolo? È quello che è il nostro capo continua a dirci in ufficio: se credi di aver trovato la soluzione a qualcosa, hai perso in partenza.

E di certo non vogliamo perdere. Potrebbe essere anche la sotterranea corrente patologica di una cultura degli affari ormai deviata, ma si tratta di un aspetto che abbiamo affibbiato anche alla nostra vita sentimentale. Funziona più o meno così: “Se non la definiamo una relazione, allora non potrà esserci neanche una vera separazione”.

Eppure, inizio a farmi delle domande. Le “non relazioni” mantengono davvero la promessa? Le storie d’amore funzionano davvero in questo modo? Possiamo semplicemente evitare di amare, per non perdere?

Perché quando passiamo mesi con una persona, facciamo sesso (probabilmente anche parecchio, una caratteristica imprescindibile delle non relazioni), guardiamo film anni ’80 per ore ed ore, ci imbocchiamo il gelato a vicenda, ci raccontiamo storie della buonanotte… anche se non consideriamo quella persona come il nostro partner, nessuno di noi è “immune” dal provare sentimenti. Forse non sarà “amore” (vedete, ho perfino bisogno di metterlo tra virgolette). Ma comunque ci saranno dei sentimenti di qualche tipo. Molto sconveniente!

I sentimenti, per la maggior parte delle persone in una non relazione, sono delle catene da ignorare. Ma ecco cosa succede quando si parla di sentimenti. Puoi rifiutarti di dare loro un nome, ma sono sempre lì. Quanto spesso puoi guardare negli occhi una persona, senza intravedere un barlume di comprensione? Come puoi sentirti al sicuro tra le braccia di qualcuno senza sentire un briciolo di affetto reciproco?
Quando una non relazione finisce, è impossibile continuare a fingere che non sia mai esistita. Perché, quando è finita, possiamo sentirci feriti… malgrado noi stessi.

Quando io ed il mio “non fidanzato” abbiamo messo fine alla relazione, ho comunque sofferto a causa di quella “non separazione”. Certo, mi sono rifiutata di sentirmi come se fosse una rottura ufficale ma ero lì, chiusa in casa con un magone nello stomaco. Triste, confusa e malinconica. Cercavo di chiudere la porta in faccia a sentimenti che non erano i benvenuti. Solo per scoprire che possono arrampicarsi ed entrare dalla finestra. Dannazione.

“Be’ ma non sarebbe durata, vero?”, dicevano gli amici. “Lo so”, rispondevo urlando. Ma era durata abbastanza da farmi percepire la perdita, una volta finita. Sebbene non ci fosse nessuno da poter definire “ex”, mi sentivo autorizzata al mio periodo di lutto.

Possiamo fare del nostro meglio per gestire i sentimenti, ma probabilmente si rivelerà un eterno fallimento.
È ora d’iniziare a vederla come una cosa positiva.

Fonte: HuffPost Italia

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