Tristezza: altera la percezione dei colori

Di solito si dice che chi è triste “vede grigio”, ma non è solo un modo di dire è proprio così.

Tristezza (Pixabay)
Tristezza (Pixabay)

Uno studio ha scoperto che le emozioni che proviamo influenzano la percezione dei colori e chi è triste vede davvero il mondo “più grigio“. I dettagli da CheDonna.it.

Quando si è tristi di percepiscono colori più spenti

Uno studio condotto dall’Università di Rochester, nello stato di New York, avrebbe dimostrato che quando siamo tristi percepiamo i colori più spenti, più grigi; mentre quando siamo più allegri e contenti i colori li vediamo più nitidi e brillanti. L’espressione “vedere il mondo grigio” quando si è tristi corrisponde dunque alla realtà. Secondo i ricercatori, infatti, le emozioni che proviamo influenzano il modo con cui il nostro cervello, attraverso il nostro occhio, percepisce i colori.

Gli scienziati hanno condotto un esperimento su 127 persone a cui hanno fatto guardare dei filmati. Alcuni di questi filmati erano stati pensati appositamente per indurre tristezza in chi li guardava, altri invece per divertire. Dopo la visione dei filmati sono stati mostrati ai partecipanti alcuni campioni di colore in modo consecutivo ed è stato chiesto loro di individuare in modo preciso i colori che vedevano. I colori erano di diverse sfumature ed è emerso che chi aveva visto il filmato triste aveva più difficoltà nell’individuarli rispetto a quelli che aveano visto il filmato divertente. La ridotta percezione dei colori comunque riguardava quelli dal blu al giallo. Mentre non c’è stata nessuna differenza nella percezione di quelli dal rosso al verde.

La ricerca avrebbe quindi confermato che esiste veramente un legame tra stato d’animo e modo di percepire i colori. La sorpresa sta però nel fatto che la diversa percezione riguarda solo quelli del gruppo blu-giallo. Si tratta di un gruppo di colori la cui percezione è collegata alla dopamina, il neurotrasmettitore che il nostro cervello rilascia quando proviamo sensazioni piacevoli. Ha spiegato il prof. Christopher Thorstenson, che ha guidato la ricerca.

Lo studio dell’Università di Rochester è stato pubblicato sulla rivista Psychological Science.

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