Il momento in cui si conclude l’attività lavorativa è una delle tappe fondamentali che segnano la vita della maggioranza delle persone. Di molte ma non di tutte le persone.
Per tanti è l’auspicato, invocato, desiderato punto di arrivo. Decennio dopo decennio si è costruita una vita parallela, fatta solo e soltanto di lavoro. Tre, quattro decenni fino al giorno in cui si intravede il fatidico traguardo. Un momento che si è immaginato in mille forme diverse. Un passaggio ‘vitale’ che aprirà un altro capitolo della nostra esistenza: la pensione.

La pensione intesa sempre come una nuova fase della vita ma anche, molto più concretamente, come da definizione, come una prestazione economica che periodicamente viene erogata ai lavoratori, dipendenti o autonomi che siano, nel momento esatto in cui si raggiungono determinati requisiti legati all’età ed ai contributi versati.
Una prestazione economica nata con il preciso intento di assicurare a ciascun lavoratore una sicurezza economica anche nel momento in cui si chiude la lunga parentesi lavorativa. Presupposto, unico e solo, per poter accedere alla pensione è l’aver lavorato. Chi non ha mai lavorato, infatti, non può andare in pensione.
Ogni opzione legata al pensionamento fa riferimento solo e soltanto agli anni di contribuzione. L’età anagrafica è l’altra variante di cui, in alcuni casi, si può anche fare a meno. Dei contributi versati, invece, non si può assolutamente fare a meno. Ancor più chiaramente si può andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica, ma non si può andare in pensione senza aver raggiunto un numero minimo di contributi versati.
Dal 2026 arriva la gradita novità
Per avere diritto alla pensione di vecchiaia, al raggiungimento dei 67 anni, occorre aver maturato 20 anni di contributi. Nel caso non fossero maturate tali condizioni occorrerà attendere il compimento del 71esimo anno di età a patto, però, che si sia lavorato per 5 anni a partire dal 1°gennaio 1996.

Come detto chi non ha mai lavorato non può andare in pensione ma è presente un sostegno, in molti aspetti simile ad una pensione, che va incontro a chi, compiuti i 71 anni di età, non ha altre entrate di natura economica. Questo supporto economico si chiama Assegno Sociale. La buona nuova è che dal 2026 tale sostegno vedrà aumentare il suo importo a seguito della rivalutazione che toccherà anche tutti gli altri trattamenti previdenziali ed assistenziali.
Il previsto tasso di rivalutazione per il 2026 è dell’1,7%. Più concretamente tale rivalutazione farà si che l’importo mensile passi dagli attuali 538,68 euro a circa 547,82 euro, per un totale annuo che supererà i 7.121 euro distribuiti sulle canoniche tredici mensilità.
L’aumento degli importi percepiti comporterà anche un immediato aumento delle soglie di reddito. Si ha diritto all’intero importo se non si è coniugati, oppure, in misura ridotta fino alla soglia complessiva di 7.121 euro.
Per coloro che sono coniugati il parametro di riferimento raddoppia. Si avrà quindi diritto al percepimento del totale importo se il reddito familiare non supererà a 14.242 euro.





