CINEMA: Recensione del film “Interstellar” di Christopher Nolan

Loc_Teaser_Interstellar_300dpi-716x1024Con il premio Oscar Matthew McConaughey nei panni di Cooper, ex pilota collaudatore ed ingegnere formato secondo le regole adrenaliniche delle Giovani Aquile che sfidano continuamente i propri limiti aspirando ad aprirsi una strada nella galassia, lo scenario è quello di un futuro prossimo in cui la crisi delle produzioni agricole ha messo in ginocchio il mondo, tanto che il tempo degli esseri umani su di esso sembra vicino alla fine.

Evento che porta il protagonista, affiancato dalla dottoressa Amelia Brand, ovvero Anne Hathaway, dall’astrofisico Romilly alias David Gyasi e da Doyle, interpretato da Wes Bentley, ad intraprendere una importantissimo viaggio finalizzato a scoprire se l’umanità potrà continuare la propria vita tra le stelle.

Viaggio che tiene conto degli studi del fisico teorico Kip Thorne (anche produttore esecutivo del lungometraggio) riguardo la possibilità di balzare tra vari sistemi solari attraverso un cunicolo spazio-temporale altrimenti detto wormhole; man mano che fanno la loro entrata in scena la Jessica Chastain di “Zero Dark Thirty” (2012), Topher”Spider-man 3”Grace, il Casey Affleck de “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford” (2007) e i veterani Michael Caine e John Lithgow.

Senza contare Matt Damon, nel corso di quello che, caratterizzato da un avvio d’attesa che rimanda, in un certo senso, a determinati lavori di M. Night Shyamalan e Roland Emmerich, assume quasi, a tratti, i connotati di un rifacimento di “Gravity” (2013) di Alfonso Cuarón, per poi sfociare nel thriller quando si è in prossimità della sua conclusione.

Ed è sufficiente aggiungere il ritrovamento di un’astronave che tanto ricorda quella de “Il pianeta delle scimmie” (1968) per lasciar intendere quanto citazionismo tempesti il nono lungometraggio diretto dall’inglese classe 1970 Christopher Nolan; il quale, probabilmente deciso a confezionare il proprio personale “Solaris” (1972) o “2001: Odissea nello spazio” (1968), mai come in questo caso si lascia tranquillamente scoprire mestierante intento a camuffare di “grandezza” i suoi acclamatissimi film – in realtà nella media – dietro il ricco cast di star, alla stessa maniera di tanti registi attivi negli anni Settanta.

Anche perché, al di là della buona, inevitabile dose di effetti visivi destinata a popolare l’insieme, mentre viene ribadito che sei il fantasma del futuro dei tuoi figli quando diventi genitore e che emergono le relazioni nell’ambito della famiglia al centro di tutto, il banalissimo scopo dell’operazione Interstellar – che sembra oltretutto strizzare l’occhio a Terrence Malick – non si rivela essere altro che quello di ricordare che l’amore, pur essendo qualcosa che non si può toccare e conservare, rimane con noi malgrado le distanze del tempo e dello spazio.

Con infinità di chiacchiere, esasperante lentezza narrativa, eccessiva durata (si sfiorano le due ore e cinquanta minuti) e, di conseguenza, tanta noia.

Francesco Lomuscio

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