CINEMA: Intervista a Lorenzo Richelmy, protagonista del film “Sotto una buona stella”

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Chi è Niccolò? Ci descrivi il tuo personaggio?
Niccolò è il tipico ragazzo di questa generazione, di questi anni; ha da poco finito la scuola, sta seguendo l’università ma non è del tutto convinto, non sa esattamente cosa fare. Ha una grande passione per la musica ma non vede intorno a sé gli strumenti per poter creare il suo futuro, si trova in un momento particolare della sua vita. Nel film è sempre stato lui l’uomo di famiglia; ha sempre vissuto con la madre e la sorella, e forse tutta la responsabilità che il padre gli ha lasciato andandosene, lo ha schiacciato, gli ha dato una sorta di pesantezza. Insomma, Niccolò non vive un periodo felice della sua vita; a complicare il tutto all’inizio del film muore la madre, il padre torna ad affacciarsi nella sua vita e Niccolò è costretto a trasferirsi da lui con la sorella. Tra i due il più contento di questa nuova situazione è proprio lui, forse perché ha sentito di più la mancanza del papà di cui ha dovuto prendere il posto. Nonostante gli porti un po’ di rancore, ha assolutamente bisogno e voglia di quella figura paterna che non ha mai avuto prima.

Che tipo di lavoro avete fatto, tu e Carlo, per costruire questo personaggio? Che tipo di indicazioni ti ha dato Carlo per interpretarlo al meglio?
Sin dall’inizio Carlo mi ha presentato l’idea di un ragazzo di cui io potessi avere una visione più complessiva e chiara di lui. Mi ha detto “è uno dei tuoi amici, pensalo come se potessi conoscerlo”. Il film riprende molte caratteristiche della società di questo momento, e Carlo ha cercato di trasferire nel mio personaggio una malinconia di fondo. Niccolò è un vincente al quale però il contesto dice esattamente il contrario; è un vincente che si sente perdente. Questa è la pesantezza che Carlo cercava quando abbiamo parlato del personaggio: voleva un ragazzo che avesse da un lato una parte molto gioiosa e vivace, con tanta voglia di vivere, ma che dall’altra avesse anche una malinconia e una sfiducia sedimentata dentro.

Cosa ti ha colpito della sceneggiatura di “Sotto una buona stella”?
Della sceneggiatura mi ha colpito la sua coralità e l’eterogeneità dei personaggi: i protagonisti sono tutti molto lontani l’uno dall’altro (Carlo e Paola sono molto distanti, io e mia sorella siamo diversi anche se fratelli). E’ una sceneggiatura che dimostra come persone così diverse abbiano bisogno di una famiglia, e riescano a ricrearla nonostante la loro diversità. “Sotto una buona stella” è un film molto corale, contiene e amalgama colori molti diversi.

Che tipo di provino ti ha fatto Carlo Verdone? E cosa ha significato per te lavorare con lui?
Io sono cresciuto a Roma, ho sempre considerato Carlo una delle firme più importanti e autorevoli del grande cinema italiano. Per me i suoi film sono geniali e sono rimasti nella storia della comicità di casa nostra, una comicità alta e sofisticata. Ciò che mi piace di Carlo è il suo riuscire a far ridere tantissimo restando su toni sobri, che non sfociano mai nel greve. Sono molto contento di aver lavorato con lui e di aver collaborato con una persona con cui poter parlare francamente; Carlo è molto più umano di quanto si possa immaginare da una persona che ha raggiunto tutti i suoi traguardi. Il provino è stato uno dei più belli che io abbia mai fatto. Ho incontrato Carlo grazie ad Aurelio De Laurentiis, e mi ha dapprima sottoposto a un test di base; quando poi sono arrivato alla selezione finale, abbiamo fatto il provino con il direttore della fotografia Ennio Guarnieri e una piccola troupe. Ho trovato tutto ciò molto professionale, è davvero raro fare i provini così: io ero molto teso, ma Carlo è riuscito a trovare il modo giusto per mettermi a mio agio e far uscire il meglio da me.

In questo film canti una canzone scritta da Federico Zampaglione. Come è andata? Che tipo di esperienza è stata per te?
A dire il vero quando avevo 14 anni facevo parte di una piccola band che suonava cover rock; poi però ho smesso per tantissimo tempo di suonare. Chiaramente quando dovevo cantare questa canzone, ero molto in ansia, non sapevo come sarebbe andata e anche Carlo mi chiedeva come mi sentissi, mi diceva per la canzone avrei potuto essere sostituito da qualcun altro. Il problema era la voce, perché quella o ce l’hai o non ce l’hai; la chitarra avevo già ricominciato a suonarla, e facendo tante prove in un mese e mezzo l’avevo ripresa. Per fortuna Federico Zampaglione mi ha aiutato moltissimo, ci siamo sentiti sin dall’inizio, lui è stato molto disponibile con me: è una persona straordinaria, di grandissima umiltà. Lui e Carlo sono molto amici, e sono simili nel modo di fare: con loro ci si intende molto velocemente e si arriva subito dritti al sodo. Se non l’avesse scritta lui, e non mi avesse seguito lui, non sarei stato capace di interpretare quella canzone: Federico mi ha dato una chiave molto veloce per capire come far uscire la mia voce. Ci siamo visti per un mesetto un paio di volte a settimana, finché abbiamo registrato il pezzo in studio con il fratello: è stata un’emozione bellissima, una di quelle esperienze che ti puoi solo immaginare, con lo studio di registrazione, il microfono grande in stile anni ’50, il vetro, dall’altra parte il mix. Sono stato molto fortunato.

Cosa significa per te essere “sotto una buona stella”?
Io credo che ognuno di noi crei la propria “buona stella”, senza aspettare che capiti dall’alto: i periodi neri si devono affrontare da soli, senza sperare in un colpo di fortuna. Essere sotto una buona stella significa avere la voglia di vivere e una sorta di guida superiore, significa avere un cammino davanti e sapere di poterlo affrontare.

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