Una recente sentenza cambia le regole del condominio: l’amministratore è obbligato a rivelare i morosi, garantendo trasparenza e tutela per chi paga regolarmente.
Una recente pronuncia impone all’amministratore di condominio di comunicare i condòmini morosi, tutelando chi paga e i fornitori creditori finalmente. L’obbligo di comunicare nomi, codice fiscale, residenza e somme dovute cambia la gestione delle spese condominiali e la trasparenza in condominio. Il malumore serpeggia tra i proprietari virtuosi: bollette salate, rate straordinarie e lavori indispensabili che si trasformano in un salasso perché qualcuno non paga.
Una svolta giuridica rimette al centro la trasparenza e responsabilizza l’amministratore di condominio, chiamato a fare ciò che molti chiedono da tempo: dire chiaramente chi non versa la propria quota. Non si tratta di un capriccio, né di gogna mediatica, ma di un dovere preciso che matura in scia a lavori eseguiti, fatture emesse e crediti che restano sospesi. La notizia interessa chiunque viva in condominio, dagli inquilini ai fornitori, perché incide su come si ripartiscono i costi, su chi deve riscuotere e su chi, al contrario, rischia di vedere lievitare le spese pur essendo in regola.
Quando un’impresa ha eseguito lavori per il condominio e il prezzo non viene integralmente versato, l’amministratore di condominio ha l’obbligo di comunicare al creditore l’elenco nominativo dei condòmini morosi con le loro generalità, codice fiscale, residenza anagrafica e le somme dovute da ciascuno. L’obbligo discende dall’ordinamento, in particolare dall’art. 63 disp. att. c.c., e il suo immotivato rifiuto viola il canone di buona fede, integrando una possibile responsabilità aquiliana.
Lo ha ribadito il Tribunale di Napoli con la sentenza n. 7299 del 21 luglio 2025, che ha ordinato all’amministratore di fornire i dati al fornitore per consentirgli di agire pro quota. Non è un favore, ma un adempimento in capo all’amministratore “in proprio”, funzionale alla trasparenza dei conti e alla tutela dei creditori. La privacy non è d’ostacolo, perché la base giuridica è la legge e i dati richiesti sono strettamente necessari al recupero del credito.
Il caso concreto da cui parte la svolta è emblematico. Un’impresa appaltatrice aveva messo in sicurezza il fabbricato, realizzando interventi di somma urgenza e un ponteggio per operare in quota, oltre al ripristino di una colonna pluviale. Emesse le fatture, aveva ricevuto solo un acconto; alle ripetute richieste di elenco dei debitori, l’amministratore aveva opposto dinieghi, sostenendo che parte dei lavori non fosse urgente e mancasse la delibera dell’assemblea.
In giudizio, il giudice, preso atto che una quota del credito era comunque non contestata, ha emesso ordinanza ex art. 183-ter c.p.c. ingiungendo la consegna dell’elenco dei condòmini morosi, completo di generalità, codice fiscale, residenza e importi dovuti. La causa è proseguita sull’ulteriore parte del credito: il Tribunale di Napoli ha ritenuto indifferibili gli interventi contestati, in quanto connessi a un potenziale pericolo, ordinando anche per quella frazione la comunicazione dei nominativi.
L’amministratore di condominio non può invocare la privacy per negare i dati al creditore; la base legale è chiara. Un rifiuto immotivato espone a risarcimento del danno e responsabilità verso creditori e condòmini in regola. I fornitori potranno agire pro quota rapidamente. Opportuno mantenere un registro aggiornato dei pagamenti e rispondere in tempi certi alle richieste documentate, trasmettendo i dati in modo sicuro. Vietata la diffusione indiscriminata: l’obbligo è verso il creditore, non la bacheca.