Dalla Napoli di Ricciardi alla Sicilia di Màkari: Serena Iansiti racconta a TvBlog il potere delle “donne fragili”. Un viaggio tra luce e ombra, senza spoiler.
C’è un modo in cui certi personaggi entrano in scena, restano, poi cambiano l’aria della storia. Non alzano la voce. Non fanno rumore. Eppure guidano lo sguardo. È la forza di chi sembra spezzarsi e invece regge l’urto. È la zona in cui la televisione italiana, quando vuole, tocca corde vere.
Da qualche stagione la fiction di casa Rai insiste su figure femminili che non chiedono permesso. Le chiamiamo “fragili” per comodità, ma sono altro: persone complesse, con desideri e paure in conflitto. Questa tendenza non è un’etichetta di marketing. È un lavoro di scrittura, di regia, di scelte attoriali. E quando il casting centra il punto, lo spettatore lo sente.
Qui entra in gioco Serena Iansiti. L’attrice parla con TvBlog del suo percorso e di come affronta ruoli che vivono sul confine: vulnerabilità in primo piano, volontà di ferro sotto pelle. Non è un discorso teorico. È mestiere. È allenare lo sguardo, scegliere quando fermare un gesto, come usare il silenzio. Nell’intervista emerge l’idea che la “fragilità” funzioni quando non diventa posa, ma azione.
Il contesto aiuta. Il Commissario Ricciardi affonda le radici nei romanzi di Maurizio de Giovanni e nella Napoli degli anni Trenta. È un giallo lirico, dove i sentimenti sono investigazioni parallele ai delitti. La serie, disponibile su RaiPlay, offre a Iansiti un terreno elegante e severo: luci basse, tempi lenti, desideri trattenuti. Qui l’attrice interpreta una figura femminile magnetica e controversa, che divide e affascina, e che porta in scena una forma di potere sottile. Non serve dichiararlo: si vede in come occupa lo spazio e sposta le scelte degli altri.
Dall’altra parte c’è Màkari, il “giallo mediterraneo” tratto dai romanzi di Gaetano Savatteri. La Sicilia, la luce, l’ironia che apre finestre dentro le ombre. Anche qui Iansiti attraversa un territorio pieno di contrasti: verità personali da custodire, relazioni da negoziare, ferite che diventano bussola. Se Ricciardi suona come un’aria, Màkari assomiglia a una conversazione in piazza. E l’attrice sa cambiare ritmo senza forzare, custodendo la stessa coerenza interiore. Per chi vuole recuperare: RaiPlay.
Il filo resta lo stesso: la “debolezza” non è un difetto, ma un motore narrativo. Nelle parole di Iansiti, raccolte da TvBlog, la costruzione del personaggio passa dall’ascolto: del testo, del partner, dell’ambiente. Si lavora per sottrazione. Si sceglie una crepa, la si protegge, la si lascia parlare. È una pratica che chi guarda riconosce subito, perché restituisce persone, non funzioni di trama.
C’è anche un tema di responsabilità. Queste storie arrivano a un pubblico ampio e attraversano generazioni. La recitazione diventa ponte: mostra fragilità senza spettacolarizzarla, dà spazio alla resilienza senza trasformarla in slogan. È lì che il racconto televisivo trova credibilità, ed è lì che figure come Serena Iansiti fanno la differenza, passando con naturalezza da un noir d’epoca a un giallo contemporaneo.