Hai paura di non essere una brava madre? I consigli della psicologia

La paura di non essere una brava madre attanaglia tutte le donne alle prese con la prima gravidanza: ecco perché nasce ma soprattutto perché non la si dovrebbe ascoltare.

Paura di non essere una brava madre
(Pexels)

Quando una donna rimane incinta e attraversa il delicatissimo periodo della gravidanza sente piombare su di lei tutte le aspettative sociali che da sempre si riversano sulle madri.

Una madre ideale ha molti pregi, almeno secondo le convinzioni più diffuse e condivise all’interno della nostra società. Dev’essere dolce, accogliente, presente, organizzata, instancabile, premurosa e chi più ne ha più ne metta.

Alla donna è inoltre affidata una percentuale enorme della cura dei bambini appena nati, soprattutto se la madre ha scelto di allattare al seno e ne ha la possibilità. Essendo consapevole di questo, ed essendo anche consapevole del fatto che passerà moltissimo tempo da sola con il suo bambino, la madre sente sulle proprie spalle la responsabilità quasi assoluta del benessere di suo figlio.

Considerando tutto questo è perfettamente normale e comprensibile che le madri, soprattutto verso il periodo finale della loro gravidanza, comincino a sviluppare una forte ansia da prestazione in merito alla loro capacità di accudimento e che vedano crollare la propria autostima prima ancora di aver provato a vivere insieme al proprio bambino.

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Il modo di superare questo empasse c’è, e dipende principalmente dall’attitudine mentale con cui una donna approccia al suo compito di madre.

La paura di non essere una buona madre si supera un passo alla volta

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Gran parte delle donne trascorrono gran parte della gravidanza a studiare i vari aspetti della gravidanza e a informarsi in merito a come gestire le difficoltà organizzative che si presenteranno una volta che il bambino è venuto al mondo.

Purtroppo però non è possibile diventare madre solo studiando la teoria: è necessario conoscere il proprio bambino prima di diventare una buona madre.

Lo psicologo Donald Winnicott ha pronunciato una delle frasi più importanti in assoluto per comprendere il rapporto madre – figlio: “Ogni volta che nasce un bambino, nasce una madre”.

Con questa affermazione lo psicologo intendeva dire che una donna – madre è molto diversa da quella stessa donna prima che mettesse al mondo un figlio.

Si tratta quasi di una persona diversa, dal momento che proverà sensazioni, compirà azioni e formulerà pensieri diversi rispetto al passato.

Un secondo aspetto, insito nell’affermazione di Winnicott è che la diade madre – bambino sia una diade unica e indissolubile.

Questo significa che non si può essere una buona madre in generale: si impara ad essere una buona madre per ognuno dei propri figli, poiché ogni bambino ha esigenze e comportamenti differenti così come ogni madre ha capacità diverse rispetto a quelle di ogni altra madre.

Questo significa che non si può imparare a essere una buona madre per il proprio bambino fino a che non si avrà la possibilità di interagire direttamente con lui. Dai libri si apprendono informazioni e tecniche generali, che hanno una valenza molto generale ma che non costituiscono il nocciolo emotivo del rapporto madre – figlio, dal momento che questo nocciolo è assolutamente unico per ogni coppia formata da una madre e dal suo bambino.

Ne deriva che essere una buona madre si impara giorno dopo giorno, poiché giorno dopo giorno si impara a rispondere in maniera adeguata ai bisogni e alle necessità del proprio bambino, capendo cosa è meglio per lui ma anche cosa rende più felice e più serena la madre.

Questo significa che la paura di non essere una buona madre è perfettamente normale, così come sarà normale commettere errori nelle primissime settimane di vita del bambino: madre e figlio hanno bisogno di fare pratica per conoscersi e raggiungere un buon affiatamento, per comprendere l’uno il linguaggio dell’altra.

L’unico rimedio alla paura di non essere una buona madre, quindi è porsi in ascolto costante del proprio bambino e allenare l’empatia il più possibile, al fine di imparare a cogliere i segnali più sottili così come quelli più evidenti che arriveranno da lui.

 

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