Amy Winehouse, diamante splendente contro i ‘demoni’ della celebrità

Nove anni fa ci lasciava Amy Winehouse. La celebre cantante Soul è sempre stata al centro di controversie e diatribe, nonostante una carriera lastricata di successi. Ancora oggi vige un alone di mistero sulla sua scomparsa.

Amy Winehouse, il ricordo di un'icona musicale (Getty Images)
Amy Winehouse, il ricordo di un’icona musicale (Getty Images)

Cantare con una bella voce riesce a chi ha talento, esprimersi anche con i silenzi spetta soltanto alle persone uniche. Amy Winehouse appartiene, senza dubbio, alla seconda categoria di star. Quelle che, loro malgrado, alla vita hanno dato tutto pur non essendo sempre state ricompensate adeguatamente. La sintesi giornalistica la annovera fra gli esponenti più degni del “Club dei 27”, una classifica maledetta che riporta una serie di talenti spentisi prematuramente.

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Amy, come la chiamavano spesso i fan, cantava per emozionare ma soprattutto per soffocare un malessere costante nota dopo nota: non sentirsi mai all’altezza, oppure essere talmente grande da non potersi permettere nemmeno un momento di smarrimento. Attenzioni, aiuto, affetto: tutte cose che la cantautrice cercava nello sguardo delle persone care non sempre trovando il cuore aperto. La storia della cantante è fatta di ribalta – i successi, i riconoscimenti – e tanti retroscena che sono lentamente usciti allo scoperto nei recenti biopic che strizzano l’occhio al cinema con il garbo di chi intende scoprire un vaso di Pandora non proprio idilliaco.

Amy Winehouse, nove anni fa la morte: genio e sregolatezza di un’icona intramontabile

Amy Winehouse, fragilità e talento in una voce cristallina (Getty Images)
Amy Winehouse, fragilità e talento in una voce cristallina (Getty Images)

I problemi familiari, un amore tormentato, le controversie dovute all’alcool. Amy Winehouse, però, era – e resta – molto più di questo: al punto che nove anni dopo la sua morte la parabola della sua carriera fa ancora scuola. Una giovane donna che ha saputo prendersi ciò che voleva per poi vederlo andare in frantumi esclusivamente con il desiderio di sentirsi amata e non soltanto un oggetto (a livello di mercato e consumi) da compatire e glorificare nei momenti più opportuni.

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Amy, con il suo secondo album “Back To Black”, spalanca le porte del successo mondiale: entrata di diritto nella storia del Soul e dell’R&B per poi uscire di scena alla sua maniera, eccedendo con classe e un pizzico di follia, per cercare la dolcezza nella routine della fama. Non poteva un Grammy, eventualmente, lenire le mancanze più profonde perchè la maggiore critica, forse, era verso sé stessa piuttosto che alle melodie che proponeva. Quegli occhi illuminati e perennemente interrogativi su un mondo che, quasi mai, l’ha capita davvero.

Dalla difficoltà, molto spesso, giunge l’ispirazione: così quando arriva a cantare “Love is a losing game” sa già che per certe sofferenze non c’è posto ed eterni sconfitti saranno coloro che vivranno nel rimpianto. Allora tanto vale sparigliare le carte: mettere fine alle proprie discrepanze nel modo più netto possibile, questo voleva fare Amy. Dopo aver trascorso una giovane esistenza a cercare il consenso altrui, l’applauso migliore intendeva lasciarlo per sé. Così, in quel 23 luglio del 2011, Amy Winehouse abbandonava questa Terra con la certezza di aver dato tutto: “Se potessi rivivere la mia vita, senza tutte le rotture, lo rifarei”. A noi resta un suo acuto per ricordarci che la fragilità può frantumare un’anima, ma la determinazione non sempre è sufficiente a rimetterla in sesto. Quindi ai pulpiti è sempre meglio – ancora oggi a poco meno di un decennio da quella tragica dipartita – un palcoscenico.

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