Silvia Romano | La lettera della professoressa musulmana

La professoressa Maryan Ismail invia una lettera a Silvia Romano dopo la sua liberazione e dopo l’annuncio della conversione all’Islam.

Silvia Romano Instagram
Foto da Instagram @ciwati

La professoressa Maryan Ismail è nata il Somalia ma vive in Italia da 35 anni.

E’ docente di antropologia dell’immigrazione e senza dubbio conosce bene i diversi volti dell’islam, quello da lei abbracciato come religione da tutta la vita e quello che dilania con il terrorismo il suo Paese.

SULLO STESSO ARGOMENTO: Silvia Romano | Parla lo zio: “le hanno fatto il lavaggio del cervello”

Ecco perché Maryan Ismail si è presa ben ventiquattro ore prima di dire la sua sul rientro in Italia di Silvia Romano e, soprattutto, sulla sua inattesa conversione, quella scelta su cui molti si sono scagliati senza pietà e altri invece hanno voluto sorvolare.

La professoressa ha una sua idea, un’idea chiara e precisa circa la conversione di Silvia Romano o, per meglio dire, circa il modo in cui è avvenuta e quale volto dell’islam la ragazza italiana abbia avuto modo di conoscere.

La professoressa ha illustrato tutto ciò sul suo profilo Facebook, non attraverso un post di odio, parole ingiuriose o un dito puntato, come in molti hanno fatto in questi giorni, bensì consuma lunga lettera rivolta proprio a lei, la diretta interessata, Silvia Romano.

La lettera della professoressa musulmana a Silvia Romano

Silvia Romano prof mussulmana
Collage foto da Facebook

Maryan Ismail non giunge dal nulla a parlare di Silvia Romano. Le vicende dell’operatrice italiana è sempre stata nel cuore della professoressa che ha tenuto per diciotto mesi la foto di Silvia sul suo profilo Facebook.

Perché? Perché Maryan sapeva, sapeva che cosa succede quando si finisce in mano di determinati gruppi e sapeva a che cosa Silvia Romano stesse andando incontro.

Per questo Maryan comprende Silvia e non la giudica: la sua conversione? Chiunque avrebbe ceduto e nessuno avrebbe potuto scegliere liberamente.

Ma soprattutto che cosa ha scelto Silvia? Quale volto dell’islam e della cultura Somala ha conosciuto?

La professoressa Maryan Ismail ritiene di avere un’altra versione  dell’islam e della Somalia, una versione che vorrebbe raccontare a Silvia Romano, che vorrebbe farle annusare, assaporare e comprendere.

Scopriamo allora anche noi questo volto dell’islam grazie alle parole della professoressa Ismail.

SULLO STESSO ARGOMENTO: Lettera volontario in Kenya | “Silvia Romano potrei essere io”

“Ho scelto il silenzio per 24 ore prima di scrivere questo post. Quando si parla del jihadismo islamista somalo mi si riaprono ferite profonde che da sempre cerco di rendere una cicatrice positiva. L’aver perso mio fratello in un attentato e sapere quanto è stata crudele e disumana la sua agonia durata ore in mano agli Al Shabab mi rende ancora furiosa, ma allo stesso tempo calma e decisa. Perché? Perché noi somali ne conosciamo il modus operandi spietato e soprattutto la parte del cosiddetto volto “perbene”. Gente capace di trattare, investire, fare lobbing, presentarsi e vincere qualsiasi tipo di elezione nei loro territori e ovunque nel mondo. Insomma sappiamo di essere di fronte a avversari pericolosissimi e con mandanti ancor più pericolosi.

Ora la giovane cooperante Silvia Romano, che è bene ricordare non ha mai scelto di lavorare in Somalia, ma si è trovata suo malgrado in una situazione terribile, è tornata a casa. Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro. Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura , l’impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare? Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide, curde, afgane, somale, irachene, libiche , yemenite per capire il dolore in cui si sprofonda. Comprendo tutto di Silvia. Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere. E in un nano secondo.

Attraversare la savana dal Kenya e fin quasi alle porte di Mogadiscio in quelle condizioni non è un safari da Club Mediterranee… Nossignore è un incubo infernale, che lascia disturbi post traumatici non indifferenti. Non mi piacciono per nulla le discussioni sul suo abito (che per cortesia non ha nulla di somalo, bensì è una divisa islamista che ci hanno fatto ingoiare a forza), né la felicità per la sua conversione da parte di fazioni islamiche italiane o ideologizzati di varia natura.

La sua non è una scelta di libertà, non può esserlo stata in quella situazione. Scegliere una fede è un percorso così intimo e bello, con una sua sacralità intangibile. E poi quale Islam ha conosciuto Silvia? Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa? Quello dell’attentato di Mogadiscio che ha provocato 600 morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti? Quello che ha provocato a Garissa 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un’intera generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell’orrore? Quello che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti?”

SULLO STESSO ARGOMENTO: Silvia Romano: trovati cocci di vetro contro la finestra di casa

“No non è Islam questa cosa. E’ nazi fascismo, adorazione del male. E’ puro abominio. E’ bestemmia verso Allah e tutte le vittime. I simboli, soprattutto quelle sul corpo delle donne hanno un grande valore. E quella tenda verde non ci rappresenta. Quando e se sarà possibile, se la giovane Silvia vorrà, mi piacerebbe raccontarle la cultura della mia Somalia. La nostra preziosa cultura matriarcale, fatta di colori, profumi, suoni, canti, cibo, fogge, monili e abiti. Le nostre vesti e gioielli si chiamano guntino, dirac, shash, garbasar, gareys, Kuul, faranti, dheego,macawis, kooffi.

I nostri profumi si chiamano cuud, catar e persino barfuum (che deriva dall’italiano). Ho l’armadio pieno delle stoffe, collane e profumi della mia mamma. Alcuni di essi sono il mio corredo nuziale che lei volle portarsi dietro durante la nostra fuga dalla Somalia. Adoriamo i colori della terra e del cielo. Abbiamo una lingua madre pieni di suoni dolci, di poesie, di ninne nanne, di amore verso i bimbi, le madri, i nostri uomini e i nonni. Abbiamo anche parti terribili come l’infibulazione (che non è mai religiosa, ma tradizionale), ma le racconterei come siamo state capaci di fermare un rito disumano.

Come e perché abbiamo deciso di non toccare le nostre figlie, senza aiuti, fondi e campagne di sostegno. Ma soprattutto le racconterei di come siamo stati, prima della devastazione che abbiamo subito, mussulmani sufi e pacifici, mostrandole il Corano di mio padre scritto in arabo e tradotto in somalo..

Di quanti Imam e Donne Sapienti ci hanno guidato. Della fierezza e gentilezza del popolo somalo. E infine ho trovato immorale e devastante l’esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro. In Italia nessun politico al tempo del terrorismo avrebbe agito in tal modo nei confronti degli ostaggi liberati dalle Br o da altre sigle del terrore. Ti abbraccio fortissimo cara Silvia, il mio cuore e la mia cultura sono a tua disposizione..”

Silvia Romano Roma
Photo by FABIO FRUSTACI/ANSA/AFP via Getty Images

Non sappiamo se Silvia Romano leggerà mai queste parole e, anche qualora lo facesse, non sappiamo se vorrà ascoltarle o accettare l’invito della professoressa Maryan Ismail e conoscere questo diverso volto dell’islam e della Somalia tutta.

L’importante però forse è che siamo noi ad ascoltare, a conoscere, a cercare di comprendere. Le parole della professoressa potrebbero insegnare a noi prima che a Silvia, far capire a noi quanto l’islam abbiamo volti diversi e non solo quelli malvagi ma, ancor di più, potremmo lasciarci colpire da una piccola ama importante verità: Maryan Ismail, una donna che ha visto il jihadismo islamista somalo torturare il fratello e portarglielo via non accusa Silvia, non punta il dito contro questa ragazza, bensì la comprende e cerca di entrare in contatto con lei.

Sono forse le nostre ferite peggiori di quelle di Maryam? Quale terribile offesa abbiamo subito per non riuscire a tendere la mano come lei? Prima di cercare di insegnare a Silvia Romano forse saremmo noi a dover imparare.

Impostazioni privacy