Distretto di Polizia | La serie tv che ha ridisegnato il giallo televisivo

La serialità televisiva non è sempre stata florida e accattivante come oggi. In passato “Distretto di Polizia” ha aperto le porte a una tendenza televisivo-cinematografica rivelatasi vincente nonostante l’usura del tempo.

Distretto di Polizia, la serie cult che ha rivoluzionato il crime in tv
Distretto di Polizia, la serie cult che ha rivoluzionato il crime in tv (Instagram)

C’erano tempi in cui il Coronavirus non era (fortunatamente) nemmeno nei nostri pensieri e le nostre vite scorrevano indisturbate, certi aspetti e determinate particolarità presenti nel quotidiano scandivano ugualmente le nostre giornate ma non avevamo tempo di farci caso. Una lente d’ingrandimento su quello che avveniva per le strade della Capitale prima e nel resto d’Italia poi ha provato a fornirlo Mediaset, dal 2000 al 2012, con una serie televisiva diventata un cult: “Distretto di Polizia”.

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Agli inizi del nuovo millennio, infatti, la Taodue ha realizzato un esperimento televisivo azzardato per l’epoca, ma che sarebbe diventato una consuetudine con il passare degli anni. Riportare il poliziottesco in televisione attraverso espedienti ed artifici cinematografici. “Distretto di Polizia”, specialmente nelle prime stagioni, ha sempre presentato un cast composto da attori provenienti perlopiù dal cinema. Cosa che oggi avviene con meno clamore (pensiamo alle fiction d’autore come “Rocco Schiavone” o “Doc – nelle tue mani”).

“Distretto di Polizia”, uno spaccato evolutivo dell’Italia criminale

Distretto di Polizia, da esperimento a cult seriale
Distretto di Polizia, da esperimento a cult seriale (Twitter)

Questo cambio di rotta, avvenuto negli anni Duemila in cui anche i contenuti televisivi crime presentavano caratteri più posati e leggermente costruiti, ha portato ad una sorta di neorealismo televisivo e seriale concretizzatosi anche con l’uso reiterato di differenti espressioni dialettali nella composizione dei diversi episodi.

Il X Tuscolano gettava per la prima volta in maniera più ampia e approfondita il cuore oltre l’ostacolo portando il telespettatore medio in periferia, dove si alternavano (e continuano ad alternarsi) lotte senza quartiere e una sequela di emozioni sempre diverse che favoriscono il pathos e la messa in evidenza delle tematiche più diverse: la figura di Giovanna Scalise, interpretata da Isabella Ferrari, abbatteva per la prima volta forse nell’etere radiotelevisivo le differenze di genere. Vedere la determinazione di una donna a capo di un commissariato, più di vent’anni fa, voleva dire sparigliare le carte sotto ogni punto di vista: scenico, sociale e culturale.

In secondo luogo, è stato posto in essere un ulteriore lato della scelleratezza umana: nell’arco di 11 stagioni, “Distretto di Polizia” ha fornito, di volta in volta, una connotazione diversa alla criminalità organizzata. Possiamo dire, oggi, di aver imparato a conoscere – televisivamente parlando – l’evoluzione di certi meccanismi criminali anche grazie allo sviluppo dei diversi “cattivi” presenti in altrettante differenti ere socio-culturali.

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“Distretto di Polizia” ha saputo scavare, nel passato recente, dentro le singole cicatrici dell’animo umano restituendo la psicologia di chi viene tirato in ballo soltanto in momenti difficili e scabrosi (la vita di un poliziotto si compone prevalentemente di quelli) sapendo anche risaltare le altre sfumature di un caleidoscopio emozionale che componeva e caratterizzava ciascun personaggio. Non a caso, poi, da questa serie sono usciti numerosi volti noti dello spettacolo italiano: pensiamo a Miriam Leone, Simone Corrente (alla ribalta già con “Ultimo”), Carlotta Natoli, Giulia Bevilacqua e Anna Foglietta. Una piccola rappresentanza di personalità affermate oggi che all’epoca hanno saputo mettersi in gioco al fianco di attori già affermati come (tra gli altri) Ricky Memphis, Giorgio Tirabassi e Claudia Pandolfi.

Le vicende del X Tuscolano – che hanno aperto successivamente la strada allo spin-off “Squadra Mobile” – restano, senza indugio alcuno, la testimonianza di un romanzo (di formazione) criminale italiano in grado di scardinare barricate e tabù culturali con la forza dell’empatia e del coinvolgimento. Gli stessi che hanno permesso all’Italia di poter affermare, più recentemente, il successo incontrastato della serialità. Molto spesso più intrigante e travolgente di un qualsiasi lungometraggio.

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