“Si vive una volta sola” | Verdone inganna la morte con un pizzico d’ironia

Carlo Verdone torna al cinema, dal 26 febbraio arriva in sala “Si vive una volta sola”, una commedia dissacrante sul senso della vita che prende le mosse da Germi e Monicelli.

"Si vive una volta sola", Verdone, Foglietta e Tortora
“Si vive una volta sola”, Verdone, Foglietta e Tortora (FilmAuro)

Molta nostalgia del passato con tanta voglia di provare a guardare al futuro, è un Carlo Verdone consapevole e pragmatico quello che concepisce “Si vive una volta sola”, il suo ventisettesimo film da regista e sceneggiatore. In questa nuova avventura Verdone coltiva l’esigenza di tornare a prendersi un po’ meno sul serio, ripesca dalla soffitta quel cinismo congegnale alla grande commedia all’italiana per mettere insieme un mix di suggestioni che mescola con criterio Germi e Monicelli per dar lustro a un tipo d’umorismo, forse, leggermente in disuso.

“Si vive una volta sola” è la storia di quattro amici e colleghi accumunati dalle sorti professionali e private, che condividono ambito pubblico e privato, essendo personalità di spicco della Sanità italiana. Nello specifico, Umberto, Amedeo, Lucia e Corrado sono parti di un mosaico più ampio che compone esigenze diverse che spaziano dal successo professionale alla rivalsa nell’intimità. Sono, fondamentalmente, quattro vite perse nei loro giorni che hanno smesso da tempo di domandarsi quale sia il proprio posto nel mondo.

Carlo Verdone, “Si vive una volta sola”: tanto vale ridere (con gusto)

"Si vive una volta sola", i protagonisti in scena
“Si vive una volta sola”, i protagonisti in scena (FilmAuro)

Due chirurghi, un anestesista e una strumentista, costantemente al servizio degli altri, che hanno perso la bussola e per ingannare la ripetitività angosciosa e pressante della routine sono soliti fare scherzi piuttosto pesanti senza alcun tipo di remora. Ne sa qualcosa Amedeo, il più fragile e mite del gruppo, che riceve perennemente gli effetti di quest’umorismo dissacrante subendo facezie ingannevoli di varia natura. Dopo avergli messo a rischio la carriera, portato via la macchina e ‘rovinato’ il compleanno dei 60 anni, gli amici decidono di sotterrare l’ascia di guerra e portarlo in vacanza in Puglia. Questo slancio d’affetto ha una ragione ben precisa: Amedeo sta per morire, spetta agli amici di una vita avvisarlo della situazione. Gli hanno diagnosticato un male incurabile. Ce la faranno a vuotare il sacco e ad accompagnare il chirurgo in questa – ultima – fase delicata di vita?

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Verdone gioca in maniera dissacrante e dissoluta con la caducità degli eventi: una notizia improvvisa può cambiare tutto e sono proprio gli imprevisti la variabile dipendente su cui si reggono gli equilibri della sceneggiatura. Quattro protagonisti (Carlo Verdone, Max Tortora, Rocco Papaleo e Anna Foglietta) realizzati professionalmente ma inconcludenti a livello sentimentale. Ciascuno con diverse criticità nel proprio vissuto, che cerca di esorcizzare attraverso lo sberleffo collettivo.

Qui torna il potere dell’ironia e del cinismo familiare a Monicelli, stavolta però si infrange con la malinconia nel momento in cui Verdone introduce la possibilità della morte di un compagno – arrivata inaspettatamente – a scombinare i piani. Così una normalissima vacanza in Puglia si trasforma nella confessione reciproca delle proprie mancanze e la reiterata consapevolezza d’essere fondamentalmente un quartetto fragile in balia dei rimpianti.

“Si vive una volta sola” dosa commedia e malinconia, comicità e dramma con la sapienza di chi ha saputo per anni toccare delicatamente le più varie corde dell’animo umano: c’è tutto il primo cinema Verdoniano, con la mania perenne di rintracciare maschere e modi di vivere nella gente comune. L’attenzione ai dettagli e al comportamento: vizi e vezzi di una comunità schiava delle apparenze piuttosto che alla ricerca della sostanza.

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Il senso di quest’ultimo film targato Verdone si rintraccia entro le reazioni dei personaggi principali alla possibile dipartita di un loro compare: c’è chi si maledice, chi si sente in colpa e chi fa finta che non sia successo niente, ignorando la situazione. “Si vive una volta sola” è un perenne rincorrersi alla ricerca della chiosa finale che dovrebbe corrispondere con un’uscita di scena all’altezza: sul set e nella vita. Solamente che nessuno avvisa mai, davvero, quando è ora di finirla.

Allora, Verdone si chiede: se dovesse arrivare il momento dei titoli di coda, come verremmo ricordati? La risposta prova a darla all’interno di differenti caratteri che prima si avvicinano, senza congiungersi, poi si allontanano per ritrovare (soltanto alla fine del film) la giusta distanza. Nel mezzo, il teatro dell’assurdo con tante risate e qualche attimo di riflessione. “Si vive una volta sola” segna anche il ritorno alla collaborazione – in fase di sceneggiatura – con Giovanni Veronesi. Tocco in più che garantisce un vero e proprio tipo di comicità dissacrante, fatta di dialoghi genuini e scarni da qualunque epurazione o remora.

Verdone, stavolta, azzarda. Spariglia le carte rimettendo in discussione il proprio vissuto, anzi proprio aggrappandosi ad esso coglie nuovamente quali sono i suoi valori artistici (davanti e dietro la macchina da presa) per metterli – ancora una volta – a disposizione del pubblico.

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