“Fratelli di taglia”: il nostro Paese è primo in Europa per livelli di obesità infantile

Nella Giornata mondiale contro l’obesità, i dati di Helpcode non sono per niente confortanti: in Italia aumentano i livelli di persone in sovrappeso, soprattutto fra i più piccoli. 40 milioni di persone obese.

L’Italia è tra i paesi europei col più alto tasso di persone obese (Getty Images)

In Italia un bambino su tre è in sovrappeso, a sconvolgerci sono i dati dell’organizzazione internazionale Helpcode che arrivano puntuali nella Giornata mondiale contro l’obesità che ricorre ogni anno il 10 ottobre. Il nostro Paese condivide il primato dei livelli di obesità infantile, tra i più alti d’Europa, insieme a Cipro, Grecia e Spagna.

Le statistiche sono inoppugnabili e sfatano il mito della dieta mediterranea: come cultura alimentare l’Italia non è seconda a nessuno, ma purtroppo primeggia anche nella sciatteria e trascuratezza che ripropone persino a tavola. Oltretutto l’obesità infantile, da noi, prolifera perchè i più piccoli mangiano spesso e male senza muoversi troppo. Quindi il metabolismo, pur essendo in una fase dell’età evolutiva in cui dovrebbe galoppare, rallenta rispetto ai precedenti standard.

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Italia, il tasso di obesità è in aumento: 10 milioni in più di persone obese rispetto agli anni Duemila

La Federazione Italiana Medici Pediatri chiede supporto alle famiglie (Getty Images)

I maschi ingrassano più delle femmine: 21% contro 14% e, volendo ragionare ad ampio spettro, a livello globale siamo arrivati a 40 milioni di persone obese (dieci milioni in più rispetto ai primi anni Duemila). La crisi economica ha influito, negativamente, sul nostro modo di mangiare e di riconoscere la qualità dei cibi propinati. Inoltre, la globalizzazione (che di norma sarebbe un bene) ha fatto sì che il cosmopolitismo culinario sfociasse nella contraffazione alimentare: abbastanza frequentemente, da italiani, ci fregiamo di mangiare piatti diversi appartenenti ad altrettante culture.

Fin qui nulla di strano, anzi. L’assunto, però, inizia a vacillare nel momento in cui per dare sfogo al nostro appetito ci affidiamo ai ristoranti sbagliati: moltissimi sono i posti dove la merce non è all’altezza della domanda clientelare. Se l’offerta non è adeguata alla domanda e si preferisce tirare sul prezzo, con luoghi di ritrovo dove per magiare si spende sempre meno, il rischio – sempre più alto e frequente – è che a rimetterci sia la qualità delle materie prime. Lo stesso discorso qualitativo può essere fatto per i ristoranti che propongono cucina nostrana, ovviamente.

Se c’è però l’esigenza di esplorare altri tipi di itinerari gastronomici, per dare una sferzata al nostro bagaglio culturale e culinario, è bene farlo con la consapevolezza di chi riesce (il più delle volte) a fare una cernita nel mare magnum di possibilità e alternative proposte. La prima indagine e selezione deve partire da noi stessi e, purtroppo, abbastanza frequentemente ci dimentichiamo quanto sia importante non scendere a patti con la resistenza e la duttilità del nostro organismo. Stiamo assistendo a un’ipertrofia di cibi spazzatura: altamente calorici e privi di nutrienti, che passano dai supermercati e arrivano nelle nostre case e ristoranti.

Setacciando regione per regione, nel nostro Stivale i bambini campani sono coloro che se la passano peggio: il 40% soffre di obesità. Poi ci sono i coetanei di Molise, Calabria, Basilicata e Puglia. Questo aumento di taglie repentino inizia dai più piccoli e termina con i più grandi.

Al punto che i pediatri si raccomandano abitualmente di impartire in casa una sorta di educazione alimentare: è dal focolare domestico, infatti, che dovrebbe cominciare la scalata verso una differente cultura del cibo per poi arrivare ad essere più avvezzi nel distinguere ciò che è mangiabile e ciò che magari sarebbe meglio evitare. I gusti sono soggettivi, e su quelli non si discute, servirebbe però intavolare un discorso più ampio sulla preparazione dei cibi e l’utilizzo di determinate risorse piuttosto che altre.

Una sorta di dialogo con la comunità ha iniziato a instaurarlo da tempo la Federazione Italiana Medici Pediatri stilando il decalogo per una corretta alimentazione: “Le ricerche più recenti ci dicono che è necessario intervenire nei primi tre anni di vita, e per farlo dobbiamo conoscere abitudini alimentari e stili di vita dei pazienti a cominciare dalla gravidanza. Ma non basta. Dobbiamo investire nell’educazione alimentare delle famiglie e nella formazione mirata dei medici”, sottolinea Mohamad Maghnie, responsabile dell’UOC Clinica Pediatrica del Gaslini. Chi ben comincia, dunque, è a metà dell’opera: altrimenti le colpe dei padri ricadranno sui figli. Anche in punta di forchetta, perchè – nel bene e nel male – siamo tutti “Fratelli di taglia”.

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