Enrico Vanzina, l’immutabile affetto per Carlo raccontato in un romanzo

Enrico Vanzina scrive “Mio fratello Carlo”, un libro che ripropone le gesta professionali e umane del regista che hanno caratterizzato anni del nostro cinema. Tra commedia e dramma, c’è anche tempo e modo di affrontare la malattia.

Enrico e Carlo Vanzina (Getty Images)

Carlo ed Enrico Vanzina, due facce della stessa medaglia. Quella che rappresenta un cinema in costante evoluzione, che ha raccontato anni spensierati che, forse, non rivivremo mai più, quella che si è arresa all’ineluttabilità di un destino beffardo: l’8 luglio del 2018 ci ha lasciato Carlo Vanzina e da allora il cinema e lo spettacolo è un po’ più povero.

Costretto a coltivare l’assenza di quella visione scanzonata delle cose, di quella spensieratezza, peculiarità di Carlo, che sapeva dare un senso a tutto anche quando non c’era. Un melanoma, contro cui combattere, dal ’92 in poi. Senza chiedersi perchè, oppure facendolo e trovando come unica – e sola – risposta possibile la Settima Arte: “Amo il lieto fine, forse perchè nella vita non esiste quasi mai”, ha ribadito a più riprese prima di andarsene in un giorno d’estate qualunque.

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Enrico Vanzina: “Con ‘Mio fratello Carlo’ ho raccontato la storia malinconica di un uomo qualunque”

Enrico Vanzina ai funerali del fratello Carlo (Getty Images)

Al “Sapore di mare” è sopraggiunto quello di malinconia, la stessa che ha portato il fratello Enrico – l’altra metà di un sodalizio professionale oltre che legame sanguigno duraturo – a scrivere un libro “Mio fratello Carlo” per cercare risposte. Quelle che, purtroppo, non può più dargli il fratello personalmente anche se: “Ci sono ancora i suoi appunti”, rivela Enrico e “A volte mi sembra di sentire ancora la sua voce, ogni giorno parlo con lui. Come prima, più di prima”, racconta lo sceneggiatore in una toccante intervista a Malcom Pagani su Vanity Fair.

Ciò che rimane è una testimonianza su pagine, tradotta in mezz’ora di chiacchierata, in cui Enrico Vanzina si mette a nudo e rivela come ha vissuto quest’anno senza il fratello e quanto è stato difficile metabolizzare una perdita così improvvisa. Anche se tutti sapevano che il Male c’era e prima o poi avrebbe presentato il conto: “Seppi che Carlo stava male nel 1992. Mi telefonò mentre con i membri della commissione stavamo decidendo chi ammettere al Centro Sperimentale di Cinematografia. “Ho fatto dei controlli”, disse, “temono sia un melanoma”. Non avevo idea di cosa fosse: “È un cancro, uno dei peggiori”. Tutt’a un tratto mi sentii malissimo. Provai a reagire. A uno degli esaminandi chiesi se sapesse chi era Rossellini, poi prima che il ragazzo rispondesse, iniziai a piangere”.

Da quel momento passarono altri 25 anni, in cui il Male si arresto dopo le cure: “Giorni guadagnati, anni di felicità”, sottolinea Enrico che, adesso, anche per rispetto al fratello, porta avanti l’estro e la capacità che gli è più congeniale. Quella di raccontare storie, al pari di quella di un uomo che avrebbe potuto essere chiunque, ma il caso ha voluto che fosse suo fratello: “In stato di trance, per 50 giorni, ho scritto la storia di un uomo. Se scrivendo avessi parlato soltanto di Carlo senza mai accennare al suo cognome sarebbe stato identico. Più che un diario, un romanzo, doloroso e bellissimo che parla di amore alternando ricordo e cronaca, sogno e referti medici, speranza e disperazione, delicatezza e abissi”.

“Mio fratello Carlo”, dunque, è l’ennesimo spaccato di vita che i Vanzina – il doppio torna non a caso – hanno saputo raccontare con quella delicatezza e quel garbo che li ha sempre contraddistinti: facendo leva su vizi, virtù e controversie dell’animo umano che non risparmiano nessuno. Forse ce ne accorgiamo di più quando la mancanza diviene voragine, per questo dovremmo coltivare la vita come un bene tanto fugace quanto prezioso. Proprio come soleva dire Carlo fra un sorriso ed un ciak.

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