Curiosando nel cellulare di mia figlia le ho salvato la vita

Controllo sui figli: fino a dove è giusto spingersi? Molti genitori si pongono simili domande, soprattutto quando i loro cuccioli sono in quella difficile età che li fa diventare tanto grandi quanto basta per sfuggire al loro controllo. L’idea sarebbe quella di poterli proteggere sempre ma la minaccia di perdere la loro fiducia e di vederli fuggire a gambe levate può essere un grosso freno.

Che cosa fare allora? Una mamma ha provato a risolvere il questito raccontando la propria esperienza: quella volta in cui ha sbirciato nel cellulare della figlia e, forse, le ha salvato la vita.

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Controllare il cellulare di mia figlia: perché?

Vi riportiamo di seguito un post comparso su HuffPostUsa e tradotto da Stefano Pitrelli per HuffPost Italia: in un breve racconto la scrittrice spiega perché ha deciso di “invadere la privacy” di sua figlia e come ciò potrebbe averle salvato la vita.

I miei figli più giovani ormai sono arrivati alla fine del liceo, e a questo punto della loro vita non mi sognerei mai d’andare a spiare nei loro telefonini, ma quand’erano più piccoli mi son sempre riservata il diritto di frugare nei loro cellulari e nei loro profili Facebook, nel caso avessi il sospetto che si fossero andati a cacciare in una qualche situazione rischiosa. In realtà alla fine questo diritto me lo sono arrogato solo in un’occasione, e posso asserire in tutta onestà che mi sentirò per sempre grata d’averlo fatto. Sono assolutamente convinta che ciò che scoprii quel giorno di tanti anni fa, scorrendo i messaggi su Facebook di mia figlia e guardando sul suo cellulare, finì per salvarle la pelle.

All’epoca ci eravamo trasferiti relativamente da poco nel nostro quartiere, e perciò non avevo alcuna familiarità coi ragazzi del vicinato, o con le loro rispettive famiglie. Stavo ancora cercando di capire chi fossero gli amici di mia figlia. Dopo qualche mese percepii nel gruppo dei suoi amici qualcosa che non mi piaceva. Ma non riuscivo a capire esattamente di che cosa si trattasse.

Ne parlai al mio ex, spiegandogli che stavo valutando la possibilità d’andare a frugare nel suo cellulare e sul suo profilo Facebook (quand’erano più piccoli, mi ero fatta dare le password di tutti i gli account dei miei figli, per sicurezza. Quella fu l’unica occasione in cui le adoperai). Lui si disse fermamente contrario alla mia idea, appellandosi alla privacy, ai suoi diritti e a tutta la solita serie di considerazioni di natura morale ed etica. Mi ritrovai d’accordo con tutto ciò che mi stava dicendo, eppure c’era qualcosa che non mi tornava.

Un giorno, alla fine, decisi che avrei preferito farmi odiare da mia figlia per il resto della sua lunga vita piuttosto che scampare alla sua ira e permetterle di fare qualcosa di potenzialmente pericoloso, o perfino di rischiare la propria vita. Credo che all’epoca avesse tredici anni.

Un sabato pomeriggio lei s’addormentò col cellulare fra le braccia. Riuscii a prenderlo in mano, e ciò che vi scoprii mi mandò un brivido lungo la schiena.

La farò breve e vi dirò che cos’è che vi scoprii: una serie di sms e messaggi su Facebook inviati dal padre di un ragazzo, uno dei suoi amici di scuola. Nei messaggi lui le diceva che sua madre era troppo severa. Che sarebbe dovuta venire a trascorre la notte a casa sua, e che lui l’avrebbe coperta. Diceva che le avrebbe portato biscotti, panini di McDonald’s o qualunque altra cosa avesse desiderato, ma che per farlo avrebbe dovuto uscire di casa di nascosto per andare a incontrarlo in fondo alla strada, di notte, o nel corso della pausa pranzo a scuola. Quei messaggi erano stati inviati a ogni ora del giorno e della notte.

A volte al mattino presto, per augurarle una buona giornata a scuola. Si trattava di un uomo sulla quarantina che non avevo mai conosciuto! Che mandava messaggi a mia figlia! Era evidente che se la stava coltivando per qualche scopo. Ci vollero tutte le mie forze per trattenermi dal mettermi al volante e correre dritta a casa sua per fargli tutto ciò che una mamma orso farebbe a chiunque minacci la sicurezza dei suoi figli. Ci volle un grosso sforzo anche per convincere suo padre a non fare qualcosa d’avventato.

Alla fine fissai un appuntamento col preside della sua scuola per il lunedì successivo. Quando gli mostrai ciò che avevo scoperto rimase senza parole. Mi disse che in tutti i suoi anni d’esperienza sul lavoro non aveva mai visto niente di simile. Chiamai la polizia e feci un esposto, ma loro non potevano farci niente, perché lui non le aveva ancora fatto del male. Avvertii tutti gli altri genitori (a gran parte dei quali, tristemente, non sembrava che la cosa importasse un granché). Il momento più difficile fu spiegare a mia figlia che non le sarebbe stato più permesso di vedersi coi suoi amici.

Per qualche mese mi detestò. Mi disse che le avevo rovinato la vita, e a stento mi rivolse la parola. Ma dentro di me sapevo ciò di cui lei non poteva rendersi conto. Sapevo d’averla salvata da un predatore.

Presto si fece dei nuovi amici, e non mi diedi la pena d’andare a informarmi sulle loro famiglie. Oggi lei è una giovane donna felice, equilibrata, intelligente, ambiziosa, affascinante e spensierata, e se non è stata neanche sfiorata dai propositi di un predatore è solo perché ho compiuto un atto inammissibile, perché ho gettato alle ortiche il suo diritto alla privacy e ho frugato nel suo cellulare. Non mi pentirò mai d’averlo fatto. E non consiglio certo di farlo con leggerezza. Come ho già scritto, ero già in possesso delle password di ciascuno dei loro account, ma non le avevo mai adoperate. Era la mia rete di sicurezza, non si sa mai.

Il punto che è a volte noi genitori dobbiamo fidarci del nostro istinto e fare ciò che è meglio per i nostri figli, indipendentemente dalle opinioni degli altri. Tremo al pensiero di come starebbero le cose oggi se avessi dato retta a suo padre, per tutte le sue buone intenzioni, e mi fossi trattenuta dall’invadere la privacy di mia figlia. Nella migliore delle ipotesi saremmo costretti a fare terapia per bambini vittime di abusi sessuali. Nella peggiore, sarebbe morta.

Criticatemi pure, ma la verità sapete qual è? A me sta bene così! Mia figlia non è ancora in grado di capire che cosa sia successo, e in nome di questa grande fortuna sono disposta a sottopormi a qualsiasi critica.

VEDIAMO INSIEME UN VIDEO CHE CI SPIEGA IL RAPPORTO TRA FIGLI E TECNOLOGIE

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