LIBRI: Intervista esclusiva a Maurizio Maggi, autore de “L’enigma dei ghiacci”

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Dall’autore finalista al Premio Calvino 2014, arriva in libreria una storia mozzafiato nelle terre più estreme del pianeta: L’enigma dei ghiacci.

Un’avventura in Antartide, con protagonisti indimenticabili che si muovono in un mondo in preda a sconvolgimenti sociali, economici e climatici, alla ricerca della salvezza non soltanto per sé, ma per l’intera umanità.

E per saperne di più, abbiamo intervistato l’autore ed ecco cosa ci ha svelato…

Ci parli un po’ della genesi de L’enigma dei ghiacci… dove è nata l’idea?

A febbraio 2012 ho saputo che i russi dopo 30 anni di scavi erano arrivati al lago Vostok, in Antartide, quattromila metri sotto i ghiacci e ho pensato che un luogo simile meritasse una storia. Me ne sono venute in mente tante, ma non volevo ricadere nel cliché del luogo inaccessibile che nasconde un virus mortale, abusato in letteratura e al cinema. Ho cercato di scrivere una storia di persone e l’ho ambientata in un territorio estremo (dove in fondo il virus siamo noi) e in un contesto storico destabilizzato, per esaltare la solitudine dei protagonisti di fronte a certe scelte.

Cosa vuol dire per lei scrivere?

Quando diventai ricercatore, più di trent’anni fa, il direttore mi chiamò e mi disse: Maggi, prima di iniziare una ricerca, guardi sempre cosa hanno già fatto gli altri sull’argomento. In sostanza, se le chiedono di scrivere qualcosa, come prima cosa lei legga. Oggi lui è vecchio e ne ha passate tante, ma questo insegnamento per me è ancora valido, e lo è anche nella narrativa. Scrivere per me vuol dire ascoltare, leggere, mettersi nei panni degli altri, sforzarsi di vedere le cose con occhi diversi dai nostri e di immaginare altri punti di vista.

Muse ispiratrici?

Più che le persone, sono gli snodi della loro vita, ad affascinarmi. Molte scelte sono un misto di casualità e coraggio. Pensi a questa storia: nell’inverno del ’44 un treno trasporta verso Milano un gruppo di prigionieri. Sul loro capo pende una condanna a morte per renitenza alla leva, emessa dalla Repubblica di Salò, motivo per cui sono sorvegliati da guardie armate. Un aereo americano li attacca e il convoglio si ferma. Tutti si riversano nei campi, da un lato del treno i fascisti con alcuni dei prigionieri, i restanti dall’altro. Questi, rimasti soli, scappano e diventano partigiani. Alcuni muoiono in guerra, altri sopravvivono. Fossero scesi dal lato sbagliato o l’avesse fatto una delle guardie, forse sarebbero morti tutti e subito. Sembra Sliding doors, ma uno di quei ragazzi, quelli scesi dal lato giusto, era mio padre: sopravvisse alla guerra e sposò mia madre. Non sarei qui, altrimenti. Caso e coraggio, ma il coraggio per me non è quello degli eroi di Hollywood, di chi affronta pallottole o cataclismi naturali. C’è un coraggio quotidiano fatto di coerenza, di rifiuto delle intimidazioni o degli schemi prefissati, di difesa dei proprio sogni o della propria dignità o di quella degli altri, saper dire no o andare controcorrente quando è necessario. Nadia Anjouman, afghana, sapeva che il marito l’avrebbe punita se avesse letto in pubblico i versi che lei scriveva, ma lo fece lo stesso. Lui la picchiò fino a ucciderla, ma Nadia aveva una poesia dentro e non poteva tenerla per sé: questo per me è coraggio. È lei che ha ispirato L’avamposto, romanzo finalista al Calvino 2014 e grazie al quale sono approdato a Longanesi. Coraggio è anche come si reagisce al dolore: mortificando la vita. propria o degli altri come Gabriel, o abbracciandola ancora più stretta, come Amanda. Una persona coraggiosa in questo senso? Lucia Annibali. In ogni sua parola c’è un inno alla vita ed è anche a lei che mi sono ispirato per approfondire il personaggio di Amanda Martin.

ImmagineL’ultimo thriller letto che ha lasciato il segno?

Galveston di Nic Pizzolatto. Dopo una vita piena di errori, un uomo fa una piccola cosa giusta e per lui è come un seme lanciato nel buio: potrebbe attecchire o morire. Anni dopo, ormai vecchio, scoprirà che il seme è germogliato e deciderà che può morire sereno. Non è una morale bellissima? Il tutto in un noir duro come l’acciaio (Pizzolatto è lo sceneggiatore di True detective, tanto per capirci).

Nel libro ci sono intrighi politici, interessi governativi, sfruttamento delle risorse terrestri, crisi economiche, ecc. Quali altre speculazioni e lati oscuri dell’uomo le piacerebbe trattare nei suoi prossimi romanzi?

Il traffico di esseri umani e tutto ciò che ruota attorno a questa gigantesca macchina del dolore. La falsità di chi ha trasformato la parola di Dio in programma politico, l’amore in odio. Sessanta milioni di persone costrette alla fuga, quella che potrebbe essere la Terra Promessa di tutti noi trasformata in campo di battaglia. Non voglio sembrare presuntuoso, ma constato che i thriller sono sempre più calati nel mondo reale, e il mondo reale è anche questo.

Facciamo un gioco… se dovessi scegliere una colonna sonora per L’enigma dei ghiacci quale sarebbe?

Premesso che ho scritto solo un libro di avventure e non voglio parlarne come se fosse un capolavoro della narrativa contemporanea, visto che è un gioco, stiamo al gioco: il Canone di Pachelbel. Tre violini che ripetono una serie solo in apparenza simile al seguito di un basso continuo, come i tre principali personaggi reagiscono al dolore che li ha colpiti. È una melodia che può sembrarci triste o bellissima, secondo i momenti, e anche nel ricordo è sempre entrambe le cose e non riusciamo mai a decidere quale sensazione prevalga. Ma in fondo non è così anche nei ricordi più belli della nostra vita? Un amore di tanti anni fa o magari un amore mai nato, una persone cara scomparsa. Eppure, più ancora della musica, m’immagino il fischiare del vento, una natura che ci ricorda quanto sia più grande di noi, alternato a luoghi silenzi, abbastanza profondi da farci abituare al rumore più caldo e rassicurante che esiste: quello del nostro cuore che batte.
E se L’enigma dei ghiacci diventasse un film, quale sarebbe il cast che vorrebbe vedere sul grande schermo?

Per Amanda, Valeria Solarino: un misto di determinazione e timidezza, un carattere schivo che lascia intravedere talento e intelligenza. Per Mikhail, Damian Lewis (Homeland), per certe espressioni che sembrano rassegnate ma esprimono solo la distanza fra il sogno che ha dentro e il mondo che vede fuori. Per Gabriel, Daniel Craig: freddo, eppure mai artificiale. Comunque tre sguardi che hanno una cosa in comune. Sembrano dirti: credi di sapere chi sono, ma ti sbagli, io sono qualcos’altro.

Il personaggio del suo romanzo più difficile da delineare? E quello che lo ha affascinato di più?

Le motivazioni sono la parte più difficile e questo vale per ogni personaggio: cosa li fa muovere? Una scienziata sempre vissuta in un laboratorio e che odia il freddo accetta una missione in Antartide. Un ex comunista disilluso rischia la vita per un governo russo in cui non crede. Un credente uccide, in apparenza dominato da odio e vendetta. Costruire un passato coerente con le scelte presenti per Amanda, Mikhail e Gabriel è stata la parte più impegnativa. Per gli stessi motivi sono i personaggi che mi hanno affascinato di più.

Progetti futuri?

Mi piacerebbe continuare a scrivere. Ho avuto una grande opportunità pubblicando con Longanesi: vediamo come va L’enigma dei ghiacci e poi parleremo di progetti.

Silvia Casini

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