L’amore della mia vita e l’uomo che ho sposato non sono la stessa persona

Nella mia vita sono stata innamorata tre volte. Uno era stato il mio primo amore, uno è stato l’amore della mia vita, e uno è stato l’uomo che ho sposato. Li ho amati tutti. Sostenere che l’uno sia stato più significativo dell’altro sarebbe sbagliato.

Li ho amati tutti in modo diverso, per ragioni diverse; l’uomo che ho sposato è quello che ho amato di più, ma non è stato l’amore della mia vita.

Personalmente non credo nelle anime gemelle. È un’idea sciocca. Ritenere che ci sia un’unica persona, per sempre, non è solo spaventoso, ma offensivo. Cioè, al mondo ci sono milioni di persone e per te ce n’è una sola? Beh, e se vivesse in India, e tu in India non dovessi mai andarci? Oppure, se un autobus lo investisse stamattina, prima ancora che tu ne scoprissi l’esistenza?

Già, tutta sta roba dell’anima gemella per me è una ca**ata. Di anime gemelle ne puoi avere tante, così come puoi avere molti amori.

Ma per quanto riguarda l’amore della mia vita, l’amore che provavo per “S” è quanto di più vicino immagino si possa arrivare all’anima gemella definitiva. Era puro caos. Mi faceva impazzire. Era quel genere d’amore che mi scuoteva nel profondo, e mi faceva costantemente sentire ubriaca.

Non ne avevo mai abbastanza di lui. Avrei voluto mangiarmelo, ficcarmelo dentro, assorbirlo dentro di me, e non stare mai senza di lui. Avrei voluto sentirmi così come il mio corpo si sentiva ogni qual volta lo vedevo per il resto della mia vita. Ricordo anche d’aver pensato che senza di lui sarei letteralmente morta. Ci credevo sinceramente. Il mio corpo si sarebbe semplicemente, fo**utamente arreso, e si sarebbe spento.

Questa storia fra noi è andata avanti e indietro per quattro anni. Non so come la definireste voi. Non ci davamo degli appuntamenti, perché non voleva uscire con me. Ma stavamo sempre insieme, dormivamo insieme, facevamo insieme le vacanze, ed eravamo dei migliori amici che si amavano profondamente e reciprocamente. Il problema è che io l’amavo di più. Ne ero innamorata, e lui lo sapeva. Lui non era innamorato, e io lo sapevo.

E quando poi arrivò la brutta fine, così com’era inevitabile che fosse, promisi a me stessa che non avrei mai più amato in quel modo. Che non avrei mai più messo tutte le carte sul tavolo in quel modo. Che non avrei più permesso a me stessa d’innamorarmi così perdutamente da sentirmi fisicamente, mentalmente ed emotivamente distrutta, alla fine della storia. Non me lo sarei mai permessa.

Quando poi incontrai mio marito, era poco più di un anno che S era uscito dalla mia vita. Ma io ero ancora a pezzi. È dura innamorarsi di qualcuno, trascorrere così tanto tempo con lui, essere la sua partner in così tanti modi, per non rappresentare in realtà nulla per lui in quell’unico senso che a te importa. Non so se stesse aspettando qualcosa di meglio, qualcuno meno complicata, qualcuna meno simile a lui, o chissà cosa, ma in ogni caso non ero la persona giusta per lui.

E così, non appena mi ritrovai a pronunciare le parole “io ti amo” a mio marito per la prima volta, due cose mi saltarono subito in mente: io amo quest’uomo, e finalmente mi sono lasciata S alle spalle. L’ultimo dei due pensieri mi diede un senso di sollievo. Il primo invece era semplicemente un dato di fatto.

Ma sentendomi ancora a pezzi dopo S, ero incapace d’amare mio marito completamente. Lo amavo quanto potevo, cioè parecchio, credetemi. Tantissimo, ma non nel modo in cui avevo amato S, perché quando avevo incontrato S ero tutta un’altra persona.

Mio marito lo incontrai quand’ero l’ombra di ciò che ero, perciò lo amavo con ciò che mi restava di me. E molte volte — mi capita di pensarlo soprattutto oggi che siamo separati — non credo sia stato abbastanza. Se l’avessi amato come ho amato S, le cose fra noi sarebbero potute andare diversamente, o magari no. Forse è solo una pia illusione.

Mio marito sapeva di S, e dell’impatto che aveva avuto sulla mia vita. Sapeva che mi mancavano dei pezzi — pezzi che avevo fatto del mio meglio per ritrovare, senza riuscirci — per il fatto d’aver amato S, e lo aveva accettato. Gli dissi spesso quanto mi sarebbe piaciuto averlo conosciuto prima d’aver incontrato S, di modo d’amarlo in modo più completo, ma entrambi c’eravamo ritrovati d’accordo sul fatto che siccome non era andata così, non valeva la pena starci a pensare.

Ma ciò non m’impediva di starci a pensare.

Di recente durante una conversazione qualcuno mi ha citato Chuck Palahniuk: “Nulla di quanto mi riguarda è originale. Io rappresento il risultato dello sforzo congiunto di tutti coloro che io abbia mai conosciuto”. Da allora non ho fatto altro che girarmela nella testa. L’avevo già sentita, ma per qualche ragione nelle ultime due settimane s’era profondamente radicata in me. Non riuscivo a smettere di pensarci, mi sentivo quasi ossessionata dal suo significato.

Dopodiché ho capito che a causa di S mi ero persa qualcosa d’importante. Sì, era stato l’amore della mia vita, ma l’amore della mia vita avrebbe dovuto essere l’uomo che avevo sposato, peccato che fossi troppo a pezzi. Ero a pezzi a causa di S.

Quando finì la storia fra me e S mi sentivo svuotata e respiravo a mala pena, tanto che perdere mio marito (un’esperienza devastante, per inciso) per me fu una passeggiata di salute in confronto a perdere S. Perché? Perché c’era una grande parte di me che era già morta dentro.

Così, in un momento d’epifania — alle 8 di un sabato mattina qui a Parigi, a pochi minuti di distanza da mio marito, dal quale mi ritroverò inevitabilmente a divorziare — inviai un’email a S. Gli dissi che era l’amore della mia vita, ma che non avrei mai più potuto farlo entrare nella mia vita, nemmeno come conoscente.

Avevo bisogno di chiudere i conti in sospeso. Non è che gli attribuissi alcuna colpa. Non m’addentrai in alcuna lunga e lacrimosa filippica sull’amore e la perdita, e su come ciò cambi le persone. Fu solo per asserire un dato di fatto: Per me è finita. Il presente è presente, il passato è passato. Mo’ ciao.

A quel punto feci ciò che avrei già dovuto fare anni fa, e impostai un filtro alla mia casella di posta per cancellare automaticamente le sue email. Dopodiché mi sentii meglio. Sollevata. Era lo stesso genere di sollevo che avevo provato quando per la prima volta dissi a mio marito che lo amavo.

Lo so che non posso cancellare ciò che S ha significato per me, così come non posso cancellare ciò che mio marito ha significato per me, e mi sta bene. Ma almeno nel riconoscere quanto diversamente io abbia amato dopo S, avverto un campanello d’allarme che m’incita a provarci di più, e ad esser meglio di così la prossima volta che avrò l’opportunità d’amare.

Non smetterò mai d’amare alcuno di questi uomini, né il mio primo amore a dirla tutta, perché io non credo che l’amore semplicemente scompaia. Ma nel comprender che, come disse Palahniuk, “io rappresento il risultato dello sforzo congiunto di tutti coloro che io abbia mai conosciuto”, posso impegnarmi di più ad amare in modo più completo.

E auspicabilmente, la prossima volta non avrò paura di mettere tutte le carte sul tavolo.

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