Perché sono rimasta con un marito traditore: lettera di una donna che ha resistito

Mio marito aveva rinunciato al nostro matrimonio. Beh, non è che avesse propriamente rinunciato… Aveva trovato un’altra. Allora perché restare al mio posto e lottare per qualcuno che mi aveva pugnalato alla schiena, abbandonandomi in una pozza di sangue? Perché lottare per salvare il mio matrimonio quando colui che amavo e di cui mi fidavo aveva tradito il mio amore?

Son certa che almeno una parte delle mie motivazioni risalga a quando avevo sei o sette anni. La maestra ci aveva chiesto di realizzare un biglietto da donare ai nostri rispettivi padri in occasione della festa del papà. Al che alzai la mano dicendole di non averne uno, di papà (o quanto meno di non averlo mai conosciuto). Lei mi consigliò di farne uno per il nonno. Ma non avevo neanche quello. Mia nonna e mio nonno avevano divorziato quando mia mamma aveva solo due anni, e io l’avevo incontrato solo una o due volte. Decisi comunque di realizzarlo, ma quella giornata mi spezzò il cuore. Ero una tenera bambina circondata dall’affetto di una famiglia, e provai la profonda ferita della solitudine in assenza di un padre.

Così, quando sposai mio marito, mi sentii determinata a non far mai bere ai miei figli dal medesimo calice amaro della mia infanzia. Mi sarei impegnata a ogni costo per garantire loro ciò che io avevo potuto solo sognare — una mamma e un papà insieme.

Sapete, non è che avessimo poi questo matrimonio tremendo, mio marito ed io. Anzi, avrei detto di averne uno buono. Era sempre stato il mio migliore amico. Quindi la sua storia non era un qualcosa che mi sarei mai aspettata; mi colse alla sprovvista, un lunedì sera.

Son sicura che all’inizio restai per paura:

Paura d’esser sola.

Paura che non sarei riuscita a trovare nessun altro.

Paura che avrei trovato qualcun altro, e che avrebbe fatto a pezzi quel po’ che restava di me.

Paura che i miei figli si sarebbero sentiti rifiutati, vivendo il medesimo dolore della solitudine.

Paura di crescerli da sola.

Paura della vergogna.

Paura dell’ignoto.

Paura dei sogni infranti.

Paura di tutto.

Avventurandomi in quell’inferno di ghiaccio, ebbi come un risveglio spirituale. E qui entra in scena Kelly Clarkson: “Ciò che non ti uccide ti rende più forte”. Il mio cuore sfregiato era colmo d’odio per me stessa. Ero convinta di non meritare l’amore o di esser amata. Non ho mai neanche supposto d’esserne degna. Le mie paure mi portavano a sabotare la mia vita. Ma liberandomi dalle croste d’antiche ferite incappai nell’amore. Una forza sovrannaturale m’investì sussurrandomi: “Tu ne sei degna. Tu sei amata”. Un po’ alla volta, un giorno alla volta, le mie ferite cominciarono a guarire, e allora provai la libertà dalla mia prigione interiore.

La mia famiglia si riprese. Mio marito tornò e ricominciò a lottare per noi, ma ciò che non si sarebbe mai aspettato d’incontrare, al suo ritorno, era una donna cambiata. Trovò una ragazza che sapeva di valere e di esser amata. Se pure non fosse mai tornato, se pure il nostro matrimonio non si fosse mai ripreso, la mia identità non sarebbe mai più stata dettata da fattori esterni. La mia identità viene da dentro. Al principio restai a lottare per paura, ma alla fine restai a lottare per amore, e ne valse la pena.

Adesso ho il potere di perdonare senza ragione. Ho il coraggio di ritrovarmi vulnerabile in un mondo con la guardia sempre alzata, e ho la sicurezza d’amare senza garanzie.

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