Sindrome da fatica cronica: rischio suicidio

Nuove scoperte sulla Sindrome da fatica cronica. Questo disturbo aumenterebbe l’incidenza di suicidi nelle persone che ne soffrono.

(Thinkstock)
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Chi soffre di Sindrome da fatica cronica è a rischio suicidio. Lo sostiene un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, che ha analizzato 2.147 casi nell’area di Londra. Si tratta di una scoperta molto importante e allo stesso tempo preoccupante per chi è affetto da questo problema.

In un primo momento si riteneva che la Sindrome potesse aumentare i casi di decesso per tumori o malattie cardiovascolari, invece questo studio ha dimostrato che questo non accade. Le persone affette fa fatica cronica però possono essere spinte al suicidio.

In ogni caso, “la percentuale di decessi riscontrata è inferiore rispetto a quella di molte malattie psichiatriche che sono spesso associate all’abuso di alcol, fumo, disordini affettivi e della personalità. E’ necessario però valutare in modo accurato e tempestivo gli episodi di depressione che possono verificarsi in questa categoria di persone”., ha spiegato il prof. Umberto Tirelli, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori, Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (PN).

La Sindrome da fatica cronica si manifesta quando per almeno sei mesi il senso di stanchezza non viene alleviato dal riposo. Un disturbo che in Italia colpisce circa 300.000 persone, che influisce negativamente sul lavoro, lo studio e l’attività sociale.

Spesso la Sindrome da fatica cronica colpisce le persone che sottoposte a cure oncologiche. Oggi sempre più medici sono in grado di diagnosticare correttamente questa che è una vera e propria patologia. A livello normativo, però, non è ancora riconosciuta. Un problema per i pazienti che faticano così a versi riconosciuta la Sindrome da fatica cronica come una vera e propria malattia e a ricevere le cure appropriate.

Riguardo al rischio di suicidio, la depressione è una conseguenza della Sindrome da fatica cronica e non la conseguenza.

Si stanno mettendo a punto nuove terapie contro questo disturbo, in particolare con l’ossigeno-ozonoterapia, che sta dando buoni risultati, ha fatto sapere il prof. Tirelli.

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