Violenza sulle donne: arriva la campagna contro lo stupro all’insegna della minigonna!

E’ stata lanciata sul web con l’hashtag #ThisDoesn’tMeanYes (Questo non significa un sì) la nuova campagna antistupro, promossa dall’Associazione londinese Crisis Rape, con la quale s’invita le donne a pubblicare fotografie e a condividere le proprie immagini per far riflettere sul fatto che niente autorizza l’uomo ad abusare di una donna.

violenza donne

Ovvero lo slogan della campagna sottolinea che “Una gonna corta non è un sì. Le labbra rosse non sono un sì. Un occhiolino non è un sì. Un ballo lento non è un sì. Tornare a casa a piedi non è un sì. Un drink non è un sì. Un bacio sul divano non è un sì. L’unico ‘sì’ è quando si dice “.

La campagna mira a sfatare il mito del pensiero comune che ribalta il ruolo del carnefice e della sua vittima: ovvero, secondo molti la donna è quella che provoca l’uomo con il suo abbigliamento e modo di fare, per cui sarebbe lei stessa a sollecitare la violenza. Un luogo comune che è stato confermato anche da una indagine condotta nel mese di febbraio per cui il 20% delle vittime di uno stupro crede di essere in parte responsabile delle violenze.
Inoltre, è emerso che questo pensiero è più presente nella fascia tra i 16 e i 19 anni, in quanto nel 33% dei casi vengono incolpate le donne per le aggressioni subite: il 6% ritiene che la vittima se ubriaca è la principale responsabile, mentre il 20% che sia “un po’ responsabile”. La percentuale tra quelli di età compresa tra 25 e i 44 anni è del 23% tra coloro che ritengono che se una donna ha bevuto sia almeno in parte responsabile.

Dati che mostrano come la parola “rispetto” non sia contemplata in un momento di debolezza. Anzi al contrario, l’aggressione viene giustificata.

“Sappiamo già che una minoranza significativa della popolazione è incline a incolpare le donne violentate, ma quello che dovrebbe essere un motivo di grande preoccupazione è il fatto che sono i giovani i più propensi a colpevolizzare le vittime”, sottolinea Sarah Green, del movimento End Violence Against Women Coalition, spiegando che “i giovani di oggi sono bombardati da messaggi confusi sugli uomini, le donne e la sessualità. Le donne sono costantemente rappresentate come oggetti sessuali ed è diventato quasi ammissibile che gli uomini le perseguitino e le costringano a fare quello che non vogliono”.

Quello della pubblicità sessista è un tema molto attuale anche in Italia per cui molte associazioni e gruppi stanno promuovendo delle battaglie per eliminare la discriminazione sessuale nelle pubblicità, evidenziando i rischi che si ripercuotano nell’immaginario e sull’immagine stessa della donna abusata in qualsiasi contesto per promuovere la vendita di un auto, un gelato o un aspirapolvere, sfruttata come oggetto sessuale e sensuale in ogni momento del giorno. Tanto che in Italia è stato promosso il Premio Immagine Amiche mirato a contrastare gli abusi dell’immagine della donna in televisione e nella pubblicità.

Ecco perché l’associazione Crisis Rape ha anche realizzato una serie di fotografie con oltre 200 donne con le quali si vuole incoraggiare a non sopprimere l’individualità e la personalità di ognuna: “Ogni donna ha il diritto alla libertà di espressione. E nessuna merita di essere violentata per questo”, sottolineano i promotori della campagna.

Consulta il sito della campagna #ThisDoesn’tMeanYes 

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