Imparare a farsi rispettare senza usare la forza fisica

3610_Porta.rab_bPer la categoria CheDonna e il sociale vi informiamo che per le donne in stato depressivo c’è una novità.

Molte persone vivono quasi nascoste con molte difficoltà a far valere le loro ragioni, anche nel caso in cui vengano trattate male o ingiustamente, fin quando non esplodono di rabbia, o vanno in depressione. Cosa bisogna fare? Urli, voce alta, spintoni, sgomitate non servono a farsi rispettare e diventare più popolari, semmai rendono antipatici. Acquistare autorevolezza e uscire vincitori da una discussione, come dalla vita, è possibile senza arrivare alle mani. “L’aggressività non serve”, spiega lo psicoterapeuta Giovanni Porta, “Occorre guardare dentro la propria rabbia per la situazione che si sta vivendo e capire da dove arriva. E’ naturale essere arrabbiati se gli altri non ci trattano come vorremmo. Dobbiamo chiederci perché accade questo. I problemi iniziano quando siamo noi per primi che non riconosciamo il nostro valore: quando ci riteniamo sbagliati, inferiori, inutili. quando, cioè, abbiamo scarsa autostima. Essendo noi i primi a ritenerci poco degni di rispetto, tenderemo ad accettare con troppa frequenza di ricevere comportamenti poco rispettosi da parte degli altri, magari cercando una giustificazione dei loro comportamenti in nostri presunti errori.

Giustifichiamo loro e non noi, addossandoci colpe che non abbiamo. E ogni volta facciamo questo, il nostro senso di valore s’indebolisce ulteriormente, la nostra incapacità viene ulteriormente dimostrata ai nostri occhi. È un cane che si morde la coda. Quando siamo vittime di un comportamento poco rispettoso, la reazione naturale è provare una forte rabbia, perché il nostro spazio esistenziale è stato invaso e siamo stati trattati senza le dovute cure. Ma la rabbia è materiale infiammabile, e se non ci sentiamo abbastanza forti e capaci per dirigerla verso gli altri finiamo per rivolgerla contro noi stessi, cosa che di solito non fa che abbassare ulteriormente la nostra autostima, generando nei casi peggiori addirittura depressione. Già, perché la depressione è piena di rabbia. Contro noi stessi”.

È naturale provare rabbia e, in un certo modo, anche sano. Bisogna, però, imparare a gestirla. “La rabbia è un’emozione di territorio. Indica cioè che il nostro territorio (fisico o psicologico) è stato invaso da qualcuno senza la nostra autorizzazione. La rabbia è un’emozione attivante, che ci prepara in senso fisico e psichico a mobilitare le nostre risorse per allontanare l’invasore”.

Cosa dobbiamo fare in questi casi, concretamente? Risponde lo psicoterapeuta Giovanni Porta

Gestire in maniera efficace la rabbia significa:

  • Ascoltare ciò che sto provando, e rendermi conto che sto provando una sensazione spiacevole dal nome “rabbia”
  • Comprendere le cause che l’hanno generata: chi mi ha fatto arrabbiare e per quale ragione? (che ingiustizia ho subito, oppure in che modo il mio territorio fisico o psicologico è stato invaso)?
  • La mia rabbia deriva da aspettative o illusione che mi ero costruito? Se sì, convivere col dolore della caduta dell’illusione e lasciar perdere ogni azione.
  • (se la mia rabbia non deriva da aspettative o illusione) Valutare se è in mio potere fare qualcosa per modificare la situazione che mi fa arrabbiare.
  • Valutare se ciò che posso fare è conveniente per me e in linea con i miei principi etici. Se sì, agire. Altrimenti, convivere con la tristezza dettata dall’impotenza o dalla scelta di non agire
  • chi si arrabbia troppo, passando buona parte della propria vita in collera. 

Cosa succede se non ci arrabbiamo mai?

Le persone che non si arrabbiano mai (o che non si mostrano mai arrabbiate) non sono, nel 99% dei casi, santoni intoccabili emancipati dall’incubo delle passioni terrene, ma semplicemente persone che hanno trovato un modo indiretto e meno rischioso per dare sfogo alla proprio rabbia, anche a costo di perdere qualità di vita. Alcune delle modalità più comuni di espressione indiretta della rabbia sono:

  1. Chi convoglia la propria rabbia contro se stesso invece che contro gli altri, generando auto svalutazione, cioè caduta di autostima. È una dinamica tipica delle persone depresse.
  2. Chi devia la propria rabbia contro bersagli diversi da chi l’ha generata: il capo ufficio mi ha rimproverato ingiustamente e io mi arrabbio con mia moglie. (comportamento di deflessione)
  3. Chi non si dichiarerebbe mai arrabbiato, nemmeno sotto tortura, ma che poi – in maniera indiretta – assume comportamenti sottilmente aggressivi. Ad esempio, mostrarsi d’accordo con chi ci ha fatto arrabbiare ma poi fare battutacce sarcastiche su di lui e sul suo modo di comportarsi.
  4. Chi nega a se stesso/a anche solo di provare rabbia lasciandole, come unica via di espressione, il proprio corpo. (sintomi psicosomatici e/o attacchi di panico)

Queste quattro modalità impediscono di sentire appieno la rabbia, sottraendoci alla responsabilità di cambiare uno stato di cose che non ci soddisfa.

Quali sono le cause più comuni della rabbia?

Tra le ragioni più comuni di utilizzo “eccessivo” della rabbia troviamo:

  • L’incapacità di convivere con la frustrazione di un nostro desiderio: più desideriamo una cosa, più è difficile accettare che quella cosa non si verifichi. Purtroppo, non siamo noi a decidere come va il mondo; alle volte, dunque, non rimane che convivere con la frustrazione. L’importante, per accettare un simile stato di cose e non cadere in una rabbia distruttiva, è avere la coscienza a posto di aver fatto tutto quanto in nostro potere. L’incapacità di convivere con la frustrazione è tipica dei bambini di ogni età.
  • Le aspettative illusorie. Alle volte la vita è così difficile che ci viene da creare illusioni poste nel futuro che ci tranquillizzino: “di sicuro succederà questo e io sarò felice”. Il problema delle aspettative è che, se non si avverano, generano molta rabbia. Quando ci aspettiamo qualcosa da qualcuno o da qualche situazione stiamo inconsapevolmente costruendo un’illusione di cui prima o poi pagheremo il prezzo. Proviamo a vivere nel presente, con quello che c’è, senza fuggire, e se serve anche a convivere con sensazioni spiacevoli come ansia e tristezza. Anche le aspettative illusorie sono un modo tipico dei bambini di confrontarsi con le difficoltà della realtà.
  • Il senso di impotenza. Capita di non poter fare nulla per cambiare delle cose che non ci vanno bene. In quei casi, ci sentiamo inutili, impotenti, e una reazione comune è una forte rabbia distruttiva. Sotto questo tipo di rabbia si nasconde normalmente una forte tristezza. Essere tristi è, in questi casi, più saggio che essere arrabbiati perché la tristezza finisce, la rabbia no. Capita di non poter fare nulla per cambiare delle cose che non ci vanno bene. In quei casi, ci sentiamo inutili, impotenti, e una reazione comune è una forte rabbia distruttiva.

Un modo per interrompere questo circolo vizioso passa attraverso la psicoterapia. Ritrovare l’alleanza con noi stessi, accettare i nostri limiti, accettare che magari siamo lontani anni luce dall’ideale di come vorremmo essere, attraversare il lutto che consegue alla fine di un’illusione per riappropriarci della nostra capacità di azione nella realtà.

Laboratorio a ingresso libero a Roma

Nel laboratorio esperienziale di venerdì 20 marzo dalle 21 alle 23 presso Sinergy Art Studio, via di Porta Labicana 27 – S. Lorenzo – Roma si lavorerà su alcuni di questi importanti temi attraverso tecniche derivate dal teatro e dalla psicoterapia della gestalt.

Si darà ai partecipanti la possibilità di mettere in scena situazioni della loro vita concreta nelle quali non sono stati in grado di rispettarsi e di farsi rispettare, per trovare insieme alternative sostenibili e prendere un po’ di maggiore consapevolezza delle dinamiche della loro vita psichica che si sono attivare in quegli episodi.

Per iscriversi è necessario inviare una mail a giovanniporta74@gmail.com e attendere conferma dell’avvenuta prenotazione.

GIOVANNI PORTA Psicologo psicoterapeuta di orientamento gestaltico, è esperto di poesia e di teatro. Vive e lavora tra Roma e Milano. Da anni realizza laboratori e percorsi in cui l’arte viene utilizzata con finalità terapeutiche. Laureato in Psicologia presso l’Università degli Studi di Padova, si è successivamente specializzato con un master in “Utilizzo di tecniche artistiche nella relazione d’aiuto”, ha una specializzazione in Psicoterapia della Gestalt presso l’I.G.F. di Roma, ed una in “Teatro e Psichiatria”.

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