Loris: svolta nelle indagini mentre la madre si stava lasciando morire in carcere

Il caso dell’omicidio del piccolo Loris Andrea Stival, trovato morto lo scorso 29 novembre, per cui è accusata la madre, Veronica Panarello, sembra giungere verso una svolta.

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Dalle indagini è emerso che la testimonianza di una donna, che aveva riferito di aver visto Loris, il giorno dell’omicidio, in una piazza di Santa Croce Camerina, nel Ragusano, è stata smentita.

Infatti, secondo le indiscrezioni, sarebbe stato identificato il bambino scambiato per Loris. Si tratta di un bambino di 10 anni che aspettava sua madre per andare a scuola, la stessa dove andava Loris, ma in un’altra classe. Il ragazzo avrebbe riferito alla madre che era lui quel ragazzino di cui parlava la testimone. La donna ha poi informato la polizia di Stato e la Procura di Ragusa. Dopo alcuni riscontri, è emerso che la madre del bambino identificato avrebbe evitato di riferirlo fin dall’inizio per evitare l’assalto mediatico. La Procura dopo alcuni accertamenti ha verificato tutti i movimenti del ragazzino e hanno trovato riscontro nella ricostruzione fornita da lui e dalla madre.
La testimone ha confermato la sua tesi e non è stata però in grado di dire con certezza chi fosse quel bambino che aveva visto in piazza.
Intanto, le condizioni di salute di Veronica Panarello peggiorano in carcere. La donna, detenuta nel penitenziario di Agrigento, avrebbe tentato di lasciarsi morire in carcere, non mangiando per una settimana, tanto che è stata alimentata con le flebo.
Il suo avvocato, Francesco Villardita ha reso noto che “Veronica non mangiava da cinque giorni e le hanno dovuto mettere la flebo. L’ho incontrata una settimana fa; grazie all’aiuto degli operatori penitenziari ha ripreso ad alimentarsi da sola”.

“Sotto il profilo processuale è sempre più determinata ad andare avanti nel ribadire la sua innocenza e a difendersi. Non teme alcunché: analisi dell’autovettura, analisi delle forbici, analisi della cintura. Non teme alcunché”, ha poi aggiunto l’avvocato.

Per quanto riguarda il ricorso in Cassazione, Villardita ha riferito che è stato presentato “per giustificare la misura cautelare il Tribunale ha formulato una serie di congetture non suscettibili di verifica empirica e non affidabili perché basate sull’equivalenza tra una sorta di mendacio ricavato da un ragionamento forzatamente colpevolista e i gravi indizi di colpevolezza”. Nel ricorso, ha poi spiegato il legale viene evidenziato che “manca la certezza della gravità indiziaria, cioè l’oltre ogni ragionevole dubbio“.

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