LIBRI: ‘L’invenzione della frontiera’

086feeb9-0149-4bfb-b5ac-9a9b02099ea5Oggi, la redazione di CheDonna, per la categoria Libri, vi presenta una novità: L‘invenzione della frontiera. Storie di confini materiali, politici e simbolici di Federico Simonti.

Fortemente imparentato con il binomio postmoderno “libertà vs sicurezza” il concetto di frontiera è una delle figure che più assume importanza nella politica e nella filosofia contemporanee.

Alla storia e alla definizione di frontiera, Simonti affianca un aggiornato vademecum sulle zone di confine oggi più calde.

Esempio principe la città di Kobane (se ne parla nel capitolo 7) che delimita la regione autonoma di Rovaja dalla Siria, dove si combatte una guerra tra l’esercito integralista dell’Isis e i combattenti kurdi comunisti ormai da mesi. Se le frontiere in epoca moderna erano i confini degli Stati-nazione, è oggi un paradosso che la cittadina baluardo della civiltà occidentale sia il centro della regione autonoma e a-statale (come la politica del PKK ha sempre voluto) e difenda l’esercito informale di una nazione poco delimitabile. Quindi due stati informali a confronto.

Simonti, traduttore, libraio, architetto e filosofo amatoriale livornese “migrato” a Parigi da svariati anni, si tuffa in questo e in altri paradossi, sfoderando un notevole armamentario concettuale.
L’evoluzione del limes romano ha avuto la sua manifestazione più chiara durante tutta l’era coloniale ed è fino alle pendici della nostra generazione che questa idea della linea di confine si è manifestata nelle carte geografiche “politiche” di Asia, Africa, Europa e arcipelaghi contrassegnate da differenti colori in base al paese che fungeva da madre patria.

Singolare la vicenda della “Frontiera” americana che costituiva una linea (immaginaria) di conquista di una terra sconosciuta da bonificare da bestie feroci, paludi e… pellerossa selvaggi!
Cos’è successo poi? La teoria dell’Impero di Toni Negri affiancata al concetto di società liquida di Baumann sono le fonti principali dell’autore. La fine degli Stati-nazione e l’inizio della globalizzazione dei mercati (che ha soppiantato, non migliorato l’assetto globale dovuto alla colonizzazione) ha creato paradossalmente frontiere più mobili, ma nel contempo più terribili.

Se il muro di Berlino era un confine apposto per non “far uscire” i cittadini sovietici alla ricerca di un futuro migliore nel dorato mondo atlantico del libero mercato (pre-crisi!!!), le frontiere attuali dell’Unione Europea e degli Stati Uniti funzionano un po’ come la Barriera di ghiaccio del Trono di Spade a significare “da qui in poi non siamo riusciti a bonificare” o, per dirla in latino, “hic sunt leones”, quindi è meglio che le persone al di là di questo muro (che sia il mare Mediterraneo, il deserto tra Messico e California, un filo di ferro spinato apposto su una barriera di 7 metri a proteggere le enclaves spagnole di Ceuta e Melilla o la frontiera tra India e Pakistan nel Kashmir) restino estranee. Anche il passaporto è in questo senso una frontiera, dice Simonti e cita Joseph Roth: «Quanto vale un uomo senza documenti? Meno di un documento senza un uomo».

Fascinose ed esotiche le a volte terribili descrizioni delle zone di frontiera dalle maquiladoras Messicane al trentottesimo parallelo tra le due Coree oppure il confine greco-turco a Cipro o l’antica muraglia cinese e via percorrendo il globo.
Da parigino scosso per i fatti del 7 gennaio, Simonti conclude con un icastico Je suis Charlie, ma questo non contraddice la tesi conclusiva del volume: la migliore frontiera è quella che mette in contatto esseri umani con altri esseri umani più che separarli come certi muri insulsi in giro per il mondo…

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