CINEMA: Recensione del film “Hunger Games: Il Canto della Rivolta – Parte 1”

Katniss_Payoff_GenericTratto dal best seller di Suzanne Collins che – con oltre trentasei milioni di copie vendute negli Stati Uniti – non ha tardato a diventare uno dei casi editoriali di inizio XXI secolo, “Hunger games” (2012) di Gary Gross, incentrato sulla sedicenne Katniss Everdeen alias Jennifer Lawrence offertasi volontaria per concorrere ai futuristici giochi del titolo, sembra essersi immediatamente trasformato nel fenomeno cinematografico destinato a soddisfare con notevole successo i giovani spettatori orfani della saga “Twilight”.

Non a caso, appena un anno dopo quell’autentico attacco-denuncia su celluloide relativa al perverso potere dei media, è arrivato sugli schermi il sequel “Hunger games: La ragazza di fuoco” (2013), che, diretto dal Francis Lawrence autore di “Constantine” (2005) e “Io sono leggenda” (2007), ha riportato in scena sia Katniss che il compagno d’avventura Peeta, con le fattezze di Josh Hutcherson, entrambi alle prese con un tour dei vincitori attraverso i distretti di Capitol per ricordare tutti i morti nei giochi.

Uno spettacolo che, non privo di violenza indirizzata al pubblico dei teen-ager, tirava nuovamente in ballo un lussuoso cast comprendente Stanley Tucci, Donald Sutherland, il compianto Philip Seymour Hoffman e l’infallibile Woody Harrelson, in mezzo a ricatti, scontri corpo a corpo e, addirittura, un attacco da parte di babbuini.

Lo stesso Philip Seymour Hoffman che, scomparso all’inizio del 2014, torna a vestire in “Hunger games: Il canto della rivolta – Parte 1” (2014) – a lui dedicato – i panni di Plutarch Heavensbee, un tempo capo degli strateghi di Capitol City, ora una delle menti dietro la ribellione e grande sostenitore di Katniss.

La Katniss che, nel Distretto 13 dopo aver annientato per sempre i giochi, sotto la guida del presidente Coin, ovvero Julianne Moore, e con i consigli delle persone più fidate, spiega le ali nel ruolo di Ghindaia Imitatrice, simbolo della rivolta, e combatte al fine di salvare Peeta e una nazione mossa dal proprio coraggio.

Quindi, è uno scenario apocalittico quello che apre le oltre due ore di visione in cui, di nuovo sotto la regia di Lawrence, la lotta per la sopravvivenza va intensificandosi e la protagonista si risveglia in un Distretto 13 sotterraneo ed oscuro, apparentemente raso al suolo; capendo immediatamente che il Distretto 12 è stato trasformato in macerie e Peeta rapito e sottoposto ad una sorta di lavaggio del cervello dal presidente Snow, ancora con le fattezze del succitato Sutherland.

Ed è proprio al centro di un complotto per porre fine alla tirannia di quest’ultimo che viene posta da una improvvisa insurrezione, man mano che la vicenda si immerge ulteriormente nel tessuto di Panem e che è chiaramente il mondo intero ad essere in ballo.

Ma, con Liam Hemsworth ad interpretare per la terza volta l’amico devoto Gale, l’insieme sembra finire soltanto per privilegiare lo sviluppo dei rapporti tra i diversi personaggi, relegando l’azione a pochissimi, tutt’altro che memorabili momenti e ritrovandosi fagocitato, di conseguenza, in una marea di soporifere chiacchiere che non trovano difficoltà a conferirgli il poco invidiabile look di un romanzo “Harmony” dall’ambientazione futuristica.

In poche parole, in attesa dell’arrivo di “Hunger games: Il canto della rivolta – Parte 2” (2015), l’impressione che ci si avvicini sempre più ai mediocri tasselli del franchise romantico-vampiresco derivato dalle pagine di Stephenie Meyer risulta decisamente forte.

 Francesco Lomuscio

 

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