CINEMA: Recensione del film “The giver – Il mondo di Jonas”

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Tradotto in trenta lingue e vincitore di numerosi premi (tra i quali il prestigioso Newbery Medal), con oltre undici milioni di copie vendute (di cui oltre cinquantamila solo in Italia) è uno dei romanzi più letti e censurati del mondo, ancora vietato in molte scuole americane perché accusato di trattare in modo esplicito temi come la sessualità, l’eutanasia e l’infanticidio.

Scritto nel 1993 da Lois Lowry, il testo di fantascienza dispotica per ragazzi “The giver – Il donatore” finisce sul grande schermo, a ventuno anni dalla sua uscita, con il titolo “The giver – Il mondo di Jonas”; trasformando finalmente in immagini in movimento la società futuristica i cui abitanti hanno scelto di annullare tutte le differenze tra le persone al fine di evitare conflitti dilanianti, la vita scorre tranquilla e asettica, l’ordine regna sovrano e l’unico legame con un passato “contaminato” dalle passioni è rappresentato dalla “Cerimonia dei dodici”, durante la quale viene scelto colui che deve essere il Custode delle Memorie dell’Umanità.

Colui che, cresciuto, appunto, in questo mondo dall’apparenza utopica in cui tutti sembrano felici, in quanto geneticamente programmati per non provare emozioni e vedere colori, e nel quale le famiglie sono coordinate dal Consiglio degli Anziani, non solo possiede le fattezze del Brenton Thwaites del disneyano “Maleficent”, ma inizia anche l’apprendimento presso il Ricevitore dei Ricordi conosciuto come il Donatore, interpretato dal premio Oscar Jeff Bridges (oltretutto produttore del film).

E, man mano che troviamo in scena anche l’immensa Meryl Streep nel ruolo del capo Anziano e che il giovane assorbe memorie dal Donatore, apprendendo l’esistenza della gioia e del piacere, del vero dolore e della tristezza, è attraverso l’alternarsi di bianco e nero e colore che il cineasta australiano Phillip Noyce costruisce il percorso destinato a portare Jonas e l’uomo a capire che la comunità deve avere indietro i propri ricordi.

Ma, mentre il ricco cast sfodera, tra gli altri, Alexander”Battleship”Skarsgård e Katie Holmes, sorge spontaneo chiedersi come mai sia stato scelto uno specialista in pellicole basate sul movimento da intrattenimento (ricordiamo che nella sua filmografia figurano “Furia cieca” con Rutger Hauer e “Salt” con Angelina Jolie) per dirigere uno spettacolo fanta-sociologico su celluloide che, pur non risultando privo di momenti d’azione e di effetti visivi, tende a privilegiare i dialoghi scanditi da altamente lenti ritmi di narrazione.

Uno spettacolo che, nel ricordare da un lato che dall’amore nascono la fede e la speranza e dall’altro che le persone sono deboli, richiama sotto certi aspetti alla memoria sia “The island” di Michael Bay che “Divergent” di Neil Burger, che, rispettivamente datati 2005 e 2014, sono comunque successivi all’opera lowryana.

Quindi, sono stati probabilmente essi ad ispirarvisi prima ancora che approdasse nell’ambito della Settima arte questa tecnicamente curata ma senza infamia e senza lode trasposizione che, complice, inoltre, l’onnipresente voce narrante, finisce di sicuro per lasciare soddisfatti soprattutto gli spettatori più propensi agli elaborati di taglio fortemente letterario.

Nelle sale italiane a partire dall’11 settembre 2014, distribuito da Notorious pictures.

 Francesco Lomuscio

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