CINEMA: Intervista a Davide Ferrario, regista del film “La luna su Torino”

la_luna_su_torino-e1393754941173Se uno guarda la sua filmografia non può non notare che, negli ultimi 10 anni, la sua produzione di film di finzione si è molto diradata.

Forse perché non sento una gran differenza tra cinema di finzione e cinema documentario. Per sua natura, il cinema porta sempre un po’ dell’uno e un po’ dell’altra. Il cinema è il cinema, punto.

Però, curiosamente, i suoi film di finzione sono lontanissimi dal realismo. Sono visivamente molto personali: e anche quando sono ancorati nella realtà, come il carcere di TUTTA COLPA DI GIUDA, prendono vie narrative imprevedibili.

Sì. Ma, d’altra parte, penso che i miei documentari siano molto “messi in scena”: non nel senso che sono finti o ricostruiti in stile “re-enactement” televisivo, ma che sono pensati come una grande narrazione emotiva, piuttosto che come l’illustrazione di una tesi. Non a caso sia PIAZZA GARIBALDI che LA STRADA DI LEVI sono viaggi. E i viaggi, si sa, cambiano le persone, anche senza avere un senso univoco.

Dunque, come si spiega LA LUNA SU TORINO in questo contesto?

Con la voglia di leggerezza. Come essere umano e intellettuale, di fronte alla catastrofe culturale e civile che incombe, sento che una maniera di reagire è usare la levità, una delle poche armi con cui si può affrontare il disastro. Nel film non è che non si trattino temi importanti, a cominciare dalla classica domanda su qual è il nostro posto nel mondo. Ma vorrei che il tono con cui sono trattati fosse come la mongolfiera su cui sale Ugo a un certo punto: una cosa ancor più leggera e inconsistente dell’aria, ma proprio per questo capace di volare in alto. Ho molto riflettuto sull’Italo Calvino di Lezioni americane, che dedica alla leggerezza proprio la prima lezione, in particolare quando parla di una “leggerezza della pensosità”.

Calvino, in Lezioni americane, si occupa anche di Leopardi.

Esatto. E non a caso Leopardi è uno dei “fari” del film, sotto forma di passione del protagonista. Devo dire che ho scoperto Leopardi facendo PIAZZA GARIBALDI. L’avevo imbalsamato nelle letture liceali; e ho trovato, oltre al poeta, uno straordinario pensatore. Spietatamente ironico, ma anche romantico. Lucidissimo e insieme impotente a cambiare le cose. L’esatta condizione della post-modernità. E’ significativo che Mario Martone abbia fatto lo stesso percorso. Entrambi abbiamo fatto un film sull’unità d’Italia ed entrambi siamo stati folgorati sulla via di Recanati.

Se la leggerezza è la cifra stilistica, esiste un “tema” di LUNA SU TORINO?

Odio i film con “il messaggio”, naturalmente. Ma un motivo di fondo certamente c’è: la precarietà, intesa come spirito dei tempi. Ma una precarietà depurata da ogni connotazione sociologica.

Il personaggio interpretato da Eugenio Franceschini non è precario perché studia e lavora part time. Lo è perché si fa delle domande sulla propria esistenza, come d’altra parte tutti gli altri che attraversano il film. Sono tutti, a loro modo, degli acrobati, in equilibrio su un filo: la precarietà, allora, diventa anche l’arte di saper camminare su quel filo senza cadere.

Ci parli della sua ossessione per il quarantacinquesimo parallelo nord, che ricorre in molti suoi film.

Beh, più che ossessione, direi passione. Intanto, un fatto: io sul 45emo parallelo ci sono nato, esattamente a Casalmaggiore. E poi il destino mi ha portato a vivere a trecento metri dalla linea del parallelo, nella campagna torinese. Sembra che la mia vita sia segnata da questo arcano. Ma al di là dell’aspetto privato, il 45emo parallelo mi appassiona perché è una metafora dell’equilibrio. Qui siamo a metà dell’emisfero, e nessuno ci pensa mai. Un passo verso nord o verso sud e finiamo per pencolare di qui o di là, cosa che non accade per altri paralleli. Infine, geograficamente, trovo estremamente suggestivo percorrere quella linea immaginaria e vedere dove ci porta. Scoprendo magari di essere più “simili” ai mongoli del Gobi che a molti italiani.

Come ha trovato gli attori del film?

Seguendo la regola che mi ero imposto per DOPO MEZZANOTTE, con cui LA LUNA SU TORINO ha evidenti parentele: volevo delle facce nuove, capaci di portare una sensazione di freschezza allo spettatore. Io credo che in Italia abbiamo molti bravissimi attori: ma che, data una certa mancanza di originalità delle produzioni, vengono impiegati in ruoli più o meno simili. Finisci per guardare l’attore, non il personaggio, anticipandone movenze e idiosincrasie. Qui volevo invece che tutto fosse inaspettato, anche correndo dei rischi.

Si è di nuovo trovato a fare il produttore.

E’ una forma che mi consente di avere maggior controllo e autonomia. In particolare, questa volta ho utilizzato fonti di finanziamento, tramite il tax credit e il product placement, molto legate al territorio.

E a questo punto non si può fare a meno di chiederle qualcosa a proposito del suo rapporto con Torino.

Non so, non è una cosa programmatica. E’ che ogni volta che mi guardo intorno ricevo continue suggestioni visive e di atmosfera. Però la mia fascinazione per

Torino non ha nulla a che fare col “tipico” o col regionale. E’ che Torino mi sembra un luogo dell’anima, molteplice, sfuggente, sempre vivo. D’altra parte anche Leopardi non aveva bisogno, per “sentire” l’infinito, di andare lontano. Faceva due passi dietro casa sua e si guardava intorno. Ecco, Torino ti consente sempre la possibilità di uno sguardo, di una visione: a causa della sua conformazione e storia, del suo fiume, dell’architettura. E’ un luogo concreto e insieme metafisico: non potrebbe essere altrimenti, essendo costruita sul 45emo parallelo… E, così, tutto torna.

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