CINEMA: Intervista ad André Dussollier, interprete del film “La bella e la bestia”

1798818_577719735652127_26417850_nCosa ha pensato quando ha ricevuto la proposta di recitare in una fiaba?

È molto eccitante partire da un racconto molto conosciuto con la determinazione di Christophe Gans che, perfetto conoscitore del cinema e dei film che sono stati fatti su questo tema, voleva appropriarsene, utilizzando tutte le tecniche che offre il cinema di oggi. Sapevo che con lui avrei vissuto una nuova e appassionante avventura.

Cosa conosceva del cinema di Christophe Gans ?

“Il patto dei lupi”. Conoscevo il suo amore per i grandi quadri, le grandi storie. Era già molto sensibile e palpabile guardando i suoi film, ma l’ho avvertito maggiormente girando con lui, un regista molto competente e appassionato dall’immagine e dalla forza delle storie che racconta.

Il suo personaggio era facile da interpretare?

Ci siamo subito accordati con Christophe Gans sul calore e l’umanità di questo padre che si ritrova solo con tutti i suoi figli. È una parte del racconto che egli ha voluto privilegiare. Ci teneva a descrivere la realtà di questa famiglia con un padre che dava attenzione a ognuno di loro. L’obiettivo era, una volta capito il mondo reale, poter scoprire con fascino l’aspetto fantastico della storia.

Come si è trovato con Léa Seydoux?

Ci siamo scoperti su lavoro, condividendo la stessa voglia di verità nelle scene, nell’incarnazione dei nostri personaggi. Ho scoperto qualcuno di molto concentrato, sempre preoccupato di andare più a fondo possibile. Avevo l’impressione di condividere con lei i valori comuni che l’urgenza e la riuscita del lavoro nel cinema richiedono.

Che effetto le faceva girare con i green-screens?

Si ha sempre l’impressione di essere un po’ nel vuoto. C’erano da un lato le scenografie reali, come la sala da pranzo nella quale entro scoprendo un luogo al contempo reale ed enigmatico. Una grande e bella scenografia, ma nella quale mancavano i Tadums, questi piccoli animaletti che erano tenuti a giocare con me come dei gatti con un topo, e ai quali bisognava che io dessi una consistenza immaginandoli, sapendo che sarebbero apparsi sull’immagine dopo le riprese. C’erano anche dei set senza scenografia, nudi, con questi famosi fondi blu o verdi. Come il momento così particolare per me, in cui dovevo strappare una rosa, cosa che doveva provocare un vero e proprio terremoto. La rosa era poggiata su un semplice treppiedi da proiettore e io dovevo, recitando, immaginare tutto ciò che sarebbe successo strappandola e che sarebbe stato ricostruito in seguito con i computer e le macchine digitali. Fortunatamente il corpo umano è alimentato dall’immaginazione e diventa un piacere infantile e senza limiti potersene servire.

La sua esperienza teatrale l’ha aiutata ad immaginare delle scenografie che non c’erano?

A teatro raramente ci sono scenografie reali, e quando ce ne sono, sono piuttosto stilizzate per ragioni economiche. Quando si scopre un copione, è l’immaginazione che fa il lavoro a teatro, come al cinema. E con il cinema digitale e l’utilizzo di fondi verdi al posto della scenografia, l’assenza di realtà dà all’immaginazione la possibilità di giocare senza limiti.

Lei è a suo agio nel costume?

Mi è capitato diverse volte di recitare in costumi di quest’epoca. Ho trovato questi particolarmente belli e riusciti. È stato fatto un lavoro enorme sui costumi e sulle acconciature, e questo ha contribuito a rendere reali i nostri personaggi.

Cosa le hanno lasciato le riprese negli Studios de Babelsberg?

Conservo il ricordo di un insieme di tecnici estremamente abili. Il caso ha voluto che io girassi qualche mese dopo “Diplomate” con Volker Schlöndorff, celebre regista tedesco e vecchio direttore degli Studios. Il film dovrebbe uscire più o meno contemporaneamente a “La Bella e la Bestia”. Ho anche ritrovato i luoghi in cui mio padre ha lavorato qualche giorno, in questi stessi Studios durante la guerra, dopo essere evaso da un campo. Era stato impiegato come tecnico delle luci, che non era il suo mestiere; ho provato a ritrovare, senza successo, il film per il quale aveva lavorato. Strana coincidenza del destino.

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