CINEMA: Intervista a Léa Seydoux, interprete del film “La bella e la bestia”

1173603_582743211816446_1628692945_nCome ha reagito alla proposta di interpretare Belle?

Sono stata molto lusingata, e poi immediatamente mi sono detta che era un film adatto a me.

Era da molto tempo che ci pensava?

Quando ero sulle riprese di “Sister” di Ursula Meier, ho avuto come una premonizione. Mi dicevo che sarebbe stato bello adattare le fiabe al cinema, e che mi sarei vista bene nel ruolo de “La bella addormentata”. Quest’idea si è fatta strada nella mia testa e non avevo ancora cominciato il film di Kechiche. Fu allora che arrivò la proposta di fare “La Bella e la Bestia”. Ho letto lo script e ho accettato immediatamente, in più sapevo che Vincent aveva già accettato…

Immaginare Vincent nel ruolo della Bestia ha aiutato?

Si, ma ciò che mi ha motivato di più è che sono cresciuta con questa storia. Quando ero piccola, guardavo il film di Cocteau a ripetizione. Leggevo le fiabe, guardavo i cartoni animati della Disney, “Cenerentola”, “La bella addormentata nel bosco”, e mi ci identificavo totalmente.

A quale personaggio in particolare si sente più vicina?

Credo di essermi sentita più vicina alla Bella Addormentata e a Cenerentola perché non avevano un padre. Non voglio entrare nei dettagli, ma è una questione di somiglianza. Belle è diversa: lei ha perduto sua madre e vive ancora con il padre. È lei che trovavo più fiabesca. Ancora oggi, sono stupita dalla bellezza e dalla ricchezza del film di Cocteau, dove gli effetti speciali sono spettacolari, anche se fatti con cose a caso.

Sembra che lei non abbia avuto nessuna difficoltà ad entrare in quest’universo…

Infatti, mi sono sentita a mio agio perché è un mondo al quale ho sempre appartenuto. Già da bambina ero sensibile al messaggio che le fiabe vogliono trasmettere: la possibilità di poter uscire dalla propria condizione, di prendere il destino in mano, di fare delle scelte. Oggi mi piace raccontare le fiabe ai miei nipoti. Per i bambini è fantastico, ma anche noi adulti possiamo trovare un senso nelle metafore e nella psicologia dei personaggi.

Vuole parlarci del cambiamento di Belle nel momento in cui incontra la Bestia?

Certo! È la storia di una giovane ragazza che si allontana dalla famiglia per trovare l’amore.

Quando ha letto la sceneggiatura, immaginava che sarebbe stato André Dussollier a recitare il ruolo di suo padre?

No, ma l’incontro è avvenuto in modo molto naturale e il rapporto padre/figlia si è stabilito immediatamente. È stato un incontro felice, devo dirlo. In più, mi ha molto impressionato per la sua dizione perfetta, il suo modo di collocare le parole, il tono. Ha una tecnica che deriva dal teatro, che lo rende ascoltabile, nella sua recitazione tutte le intenzioni sono percepibili. È qualcosa che oggi non esiste quasi più, un altro modo di recitare che mi intriga e mi fa venire  voglia di fare teatro.

Come è stato lavorare con Vincent?

Davvero bello, anche se avevo un po’ paura, naturalmente. È impressionante, Vincent. All’inizio, la maggior parte del lavoro consisteva nel cercare di non ridere troppo. Non ce la facevo a restare seria guardandolo. Lui indossava il suo costume, che era sublime, ma bisognava immaginarsi la testa, lì dove c’era solo il viso di Vincent costellato da una sorta di croci e inquadrato da una cosa verde. Poi bisognava immaginarsi una bestia terrificante. Sapevo a cosa doveva assomigliare perché la maschera che lo rappresentava esisteva già. È stata abbastanza dura per lui. Lo vedevo sudare, aveva molto caldo nel suo costume. Mi ha detto che ha perso dieci chili durante le riprese.

Lei come si sentiva con i costumi di scena?

Sono magnifici. Credo di aver in parte contribuito alla loro elaborazione. Con Christophe abbiamo lavorato insieme, con gli stessi gusti e con la stessa eccitazione. A proposito dei costumi, lui aveva in mente di rifarsi al modello Impero. Lo trovavo molto carino, ma gli ho detto che sarebbe stato un peccato limitarsi a quell’epoca, e che bisognava anche avvicinarsi all’idea che si ha dei vestiti da principessa, ossia pomposi, stretti in vita. E ho l’impressione che il mio parere abbia contato.

Aiuta indossare i costumi per entrare nel ruolo?

Si certo, ma considero il fatto che tutti i film sono film in costume. Un costume è fondamentale per recitare, da indicazioni sul contesto, sul luogo in cui ci si trova e su ciò che si racconta. In “Addio mia regina” avevo un vestito d’epoca, che ho finito poi per dimenticare perché era sempre lo stesso. Qui, invece, per la prima volta porto differenti costumi da principessa, e pensavo a tutte le ragazzine che vedranno il film.

Cosa pensa delle scenografie?

Ce n’erano di molto belle come la sala da pranzo, o la camera di Belle, ma molto spesso si girava su dei fondi verdi, e quindi dovevamo immaginare. Quando ho visto alcune immagini con gli effetti speciali, ero molto stupita, perché avevo dimenticato che ci sarebbero stati.

E con questo distacco cosa avete imparato?

Non è per niente scontato perché ad un certo punto la tecnica diventa regina, il che limita la libertà d’espressione per un attore. Ma la vera difficoltà è stata che per tre mesi e mezzo non abbiamo visto la luce del giorno. Giravamo a Babelsberg, vicino Berlino, in inverno, con solamente quattro ore di luce al giorno. E tutto era girato in studio, con del fumo, dei costumi imponenti, delle gru, degli apparecchi disparati, il tutto molto tecnico, estremamente spezzettato. Fisicamente è stato molto pesante, ma psicologicamente è stato grandioso. Tutti si capivano alla perfezione, ed ero molto affiatata con Christophe, ci capivamo bene. Abbiamo in comune questo gusto per le cose magiche. L’esperienza è stata quindi molto piacevole, tanto che se si potesse ricominciare, lo farei subito. In fondo, mi piace molto il lato “grandi film”.

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