CINEMA: Intervista a Vincenzo Salemme, protagonista del film “Sapore di te”

VINCENZO-SALEMMEChi è il suo personaggio e che cosa gli succede in scena?
Interpreto il ruolo di Piero De Marco, un tipico politico degli anni ’80, uno di quelli della cosiddetta “Milano da bere”, anche se lui in realtà è napoletano. Probabilmente in un primo tempo questo onorevole aveva un senso nobile della vita pubblica, ma strada facendo ha prevalso un’idea della politica più personale e lui è diventato sempre più arrogante. Nella nostra storia lo raccontiamo in chiave piuttosto burlesca: pur di portarsi a letto un’attrice, fa allestire un filmetto ad un amico produttore; a quell’epoca certe abitudini erano diventate la prassi, gli anni ’80 erano i primi segnali di quanto sarebbe accaduto ai nostri giorni. De Marco è sposato con una donna molto severa (Valentina Sperlì) e si invaghisce di una soubrette (Serena Autieri) perchè in fondo è un “bambinone”, il tipico uomo che non cresce mai, un Peter Pan immaturo che si sente in diritto di fare i propri comodi anche se poi ha sempre bisogno di sua moglie. Per seguire gli istinti e la passione finirà col mettersi nei guai e le sue vicissitudini genereranno una serie di equivoci e di divertenti duetti con una coppia di villeggianti romani interpretati da Maurizio Mattioli e Nancy Brilli. L’evoluzione del suo percorso a causa della sua spregiudicatezza lo porterà addirittura in carcere ma col tempo forse riuscirà a rendersi finalmente conto dei propri errori.

49923“Sapore di te” è una commedia ambientata negli anni ’80 ma secondo lei può rappresentare adeguatamente usi e costumi di qualsiasi epoca?
Credo che anche in questa occasione Carlo ed Enrico Vanzina siano riusciti a dar vita con la consueta leggerezza ad un affresco sociale e di costume più che fondato, fotografando benissimo l’atmosfera di un certo periodo storico. Inoltre, secondo me, questa è una commedia senza età visto che il suo punto di forza è quello di essere una commedia di sentimenti, e i sentimenti non hanno età.

Tra lei e Carlo Vanzina esiste ormai un rapporto professionale ed umano più che consolidato, qual è il segreto della vostra intesa?
Credo che la nostra sintonia derivi da un certo spirito comune e dall’attaccamento al lavoro. La rotta che ci guida è sempre quella di divertire ed appassionare il pubblico. Carlo nella vita è una persona molto affettuosa, davvero speciale, è un gran signore anche sul set dove si muove sempre con una sicurezza assoluta. Io l’ho soprannominato “o’ scienziato” perché è intelligentissimo, è un maestro in grado di girare ogni sequenza con il montaggio già deciso e pronto in testa, ha una capacità innata di vedere e contemplare contemporaneamente ogni particolare, ogni dettaglio, e di intuire subito se la tensione del racconto stia calando o salendo. Quando recito con lui riesco a dare sempre il meglio di me, mi affido completamente alle sue direttive perché mi fa sentire costantemente a mio agio, sereno e fiducioso. E poi ogni volta un suo set diventa il luogo dove più facilmente tra un ciak e l’altro riesco non solo a rilassarmi ma anche ad. addormentarmi, succede perché so di essere in ottime mani..

Come si è trovato in scena con Maurizio Mattioli e Serena Autieri? Ci sono state spesso occasioni per improvvisare?
Serena Autieri ha rappresentato una sorpresa assoluta rivelandosi dotata, dolce, affettuosa e spiritosa! E’ un’attrice di una professionalità e di una simpatia uniche: si sente che ha “abbracciato” questo nostro mestiere con grande affetto, ha i tempi comici giusti e mi ha fatto sentire sempre a mio agio. Per quanto riguarda Mattioli io e lui in altre recenti commedie corali di Carlo Vanzina c’eravamo soltanto “sfiorati”, non recitavamo mai insieme nella stessa scena, finora l’avevo sempre ammirato da spettatore ma in questa occasione vedendolo all’opera da vicino mi ha colpito più del solito per l’estrema naturalezza e l’enorme padronanza della propria espressività e della scena. Lo ricordo in particolare quando in una sequenza con Paolo Conticini ambientata in spiaggia Maurizio usciva dall’acqua e ad ogni nuovo ciak da ripetere sempre con maggiore fatica fino a quando a un certo punto ha urlato sfinito: “aoh, nun je ‘a faccio più”.

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