CINEMA: Intervista a François Cluzet, protagonista del film “In solitario”

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Il 21 novembre, è uscito in Italia “In solitario con François Cluzet. La storia parla di Yann Kermadec (François Cluzet) che vede realizzarsi il suo sogno quando inaspettatamente viene chiamato a sostituire l’amico Franck Drevil (Guillaume Canet) alla partenza della Vendée Globe, il giro del mondo in barca a vela in solitario. Yann è animato da un furioso desiderio di vincere ma, in piena gara, scopre a bordo la presenza di un giovane passeggero che rimetterà tutto in discussione…

Ce ne parla l’attore François Cluzet.

Qual è stata la sua reazione dopo aver letto la sceneggiatura?

Mi sono subito chiesto se sarei stato credibile e come l’avrei fatto. Se pure fossi stato in grado di immaginarmi nel ruolo, come mi sarei comportato sulla barca, fisicamente intendo. Si tratta di uno sportivo ad alto livello, conoscere gli skipper della Vendée-Globe ce l’aveva fatto capire bene. Si preparano quattro anni per la gara, fisicamente e soprattutto mentalmente, sono molto forti. È in termini di concentrazione che forse ci somigliamo ed è su quello che mi sono basato. Inoltre, essere un navigatore comporta la conoscenza di gesti tecnici precisi. Mi sono tuffato nell’universo della vela e la cosa mi ha appassionato. Poi, leggendo la sceneggiatura, ho capito che quello che c’era di prezioso nella storia, al di là della performance sportiva, era il rapporto tra il mio personaggio e quello dell’adolescente. Ne abbiamo discusso con Christophe Offenstein, il regista, che conosco da tanto. Bisognava scegliere un giovane attore affermato. Ci saremmo trovati di fronte a situazioni complicate e a condizioni di lavoro difficili. È il mare a comandare. Samy Seghir ci ha dimostrato tutto il suo talento durante le riprese. Un giorno, ad esempio, dovevo malmenarlo in cabina. L’ho avvertito dicendogli che se per lui ero troppo violento avrei potuto farlo più piano. Poi l’ho spinto, non troppo forte, e a quel punto, a rischio di farsi male, si è lanciato con violenza dall’altra parte della cabina. Questo è quello che si dice un attore generoso!

Una volta accettato di fare il film, come ha affrontato le riprese, sicuramente molto particolari?

Mi sono detto che avevamo a che fare con talmente tanti fattori imprevisti che era meglio lanciarsi nell’impresa con entusiasmo, anima e corpo. Abbiamo fatto tutti grande affidamento su Christophe, il nostro regista. Ovviamente io ero abbastanza in ansia. Sapevamo che non eravamo su una nave da crociera, che il veliero sarebbe andato a tutta velocità, che ci sarebbero stati il vento e le onde, e che saremmo stati sballottati un bel po’. Ma ho una tale fiducia in Christophe da quando l’ho avuto come capo operatore per i 2 film che ho fatto con Guillaume Canet, che ero pronto ad impegnarmi al mille per cento!

Per quanto riguarda la recitazione, è difficile trovarsi in uno spazio ristretto e dover fare azioni da skipper mentre si interpreta un personaggio?

In effetti tutti questi condizionamenti mi hanno spinto a fare quello che amo di più del mio mestiere d’attore: restare incollato allo spartito, evitare la performance e l’istrionismo, e restare super-concentrato. Sono un po’ in apnea quando giro un film. Quando finisce una scena mi prendo un piccolo lasso di tempo per rilassarmi, per pensare ad altro, e poi sono pronto per la scena successiva. È  il solo modo che mi garantisca di restare nella parte. Tutto, ma mai perdere la concentrazione: dimenticare la presenza della troupe, fino a sedici persone su quella barca concepita per portarne una sola; affrontare gli elementi e tenere sotto controllo lo svolgimento e le sfumature di ogni scena e, soprattutto, la mia fortuna è stata non soffrire il mal di mare. E poi conoscevo praticamente tutti i membri della troupe, e sentivo che tra noi era nata una sorta di sfida, e che ciascuno era pronto a dare il meglio di sé. La cosa ci ha motivato molto. Non c’era spazio per l’egocentrismo. Una vera squadra.

Ha fatto dei corsi per prepararsi, ha trascorso del tempo in mare aperto, è stato in mare con Armel Le Cleac’h. è diventato un po’ un velista professionista?

Sullo schermo spero di sì! Ma sulla barca a volte non è che me la cavassi così bene! Una volta o due ho pensato che sarei finito fuori bordo. Normalmente lo skipper deve indossare un gilet di salvataggio. Ma in realtà lo porta di rado. Per cui anch’io non lo portavo, per non sembrare un turista, e camminavo sulla barca con l’assillo di poter cadere in mare. Ma questo faceva parte del gioco. C’è una frase di Brel che amo molto: “Il talento è l’avere voglia”. Abbiamo tutti talento dal momento in cui abbiamo voglia davvero di fare qualcosa. Sono stato felice di poter essere al fianco di Christophe Offenstein per il suo primo film e di dargli il meglio. Mi aveva scelto, e il minimo che potessi fare era cercare di essere all’altezza della sua fiducia.

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