CINEMA: Intervista a Antonio Méndez Esparza, regista del film “Qui e là”

Il regista Antonio Méndez Esparza ci parla del film “Qui e là”, una storia sulla bellezza della vita familiare, sui sentimenti e sullʼunità della famiglia. Ma è anche una storia sulla speranza, i ricordi e la perdita di ciò che ci lasciamo alle spalle. Il suo lavoro è conosciuto per la sua attenta osservazione dei personaggi e lʼesaltazione della trama quotidiana dei loro drammi. “Qui e là”, il suo debutto nella cinematografia di fiction, è il culmine di 5 anni di lavoro per portare la storia alla vita attraverso il suo impegnativo metodo di realizzazione di un cinema narrativo. Méndez ha conseguito un master in regia alla Columbia University. Attualmente insegna Cinema allʼUniversità di Tallahassee, in Florida.

Come è stato realizzato e prodotto il film?

Il film è stato girato con una troupe di 13 persone. 13 coraggioso: è un numero che si dice porti sfortuna, ma in questo caso è stato un numero fortunato. Il finanziamento è venuto da due compagnie, Aquì y Alli Films, in Spagna, e Torch Films, negli Stati Uniti. Lo script è stato sostenuto dal Sundance Institute e Cinereach, il che ha contribuito a dargli una maggiore credibilità. Nel film, inoltre, lavoro con il protagonista di un corto che avevo realizzato precedentemente, “Una y Otra vez”, cosicchè tutto ha contribuito a “vedere” il film nella mente delle persone prima di girarlo. Il cast tecnico era in gran parte messicano quello di ripresa era rumeno, tutti bravissimi. La produzione in Messico è durata quasi due mesi, la pre-produzione quattro. Durante la pre-produzione ho lavorato solo, poi con la direttrice di produzione, poi, poco a poco, si è aggiunto il resto della troupe. La realizzazione è stata dura: era il primo film per molti, poi sono stato male, le riprese sono state ritardate, molti problemi. Ma la squadra ha avuto fede nel film e ha fatto un grande sforzo per finire. Credo che tutti eravamo in qualche modo dei privilegiati nella Sierra di Guerrero ed eravamo testimoni di ciò che il film poteva riflettere.

Parlaci degli attori…

Gli attori sono il film. Pedro lo conobbi a New York, lavorava in un supermercato, e con lui ho realizzato un corto che era una storia di amore/disamore degli emigrati a New York. Mi parlò della sua casa, del suo gruppo, del desiderio di tornare, e poco dopo la fine delle riprese, tornò con sua moglie e i suoi figli. Ecco quando ho iniziato a immaginare il film, e sono andato a trovarlo. Visitando Copanatoyac, pensai che potesse essere un film e che volevo farlo. Sua moglie nel film è sua moglie nella vita reale (come il bambino del film). Le ragazze, Lorena e Heidy, le incontrammo durante un casting molto lungo che effettuai nelle scuole della regione. Fu una fortuna incontrarle, perché nella sceneggiatura le sue figlie erano personaggi meno credibili, con meno conflitti. Lorena era la resistenza, e Heidy lʼammirazione distante, ed era quasi adolescente. Nestor e Carolina, la giovane coppia, anche loro li incontrai per caso, Nestor ballava in piazza e Carolina in un casting.

Come è stata lʼesperienza di Cannes?

È stata fantastica, la stampa francese ha accolto il film con entusiasmo, come quella internazionale. Nella Settimana della Critica, ci si sente parte di un gruppo, e si fa amicizia con gli altri cineasti. La selezione del film è stata incredibile ed il premio ci ha lasciato senza parole.

Come sono andate le uscite in Usa, Francia e Spagna?

In Francia il film ha avuto grandi recensioni, è stato in cartellone per quasi 5 mesi, in giro per il paese. In Spagna, le critiche sono state molto positive, qualcuna eccellente. Negli Usa ha avuto una lunga e vasta esperienza, con proiezioni in molte sale indipendenti e con recensioni ottime.

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