Migranti: la schiavitù dei raccoglitori di pomodori

Il dramma degli immigrati raccoglitori di pomodori in Italia.

Raccolta di pomodori (SAID KHATIB/AFP/Getty Images)
Raccolta di pomodori (SAID KHATIB/AFP/Getty Images)

Una vera e propria schiavitù è quella che colpisce gli immigrati che raccolgono pomodori nel sud Italia. CheDonna.it ve la racconta.

Schiavi raccoglitori di pomodori

La loro storia sembra quella degli schiavi che raccoglievano il cotone nei campi del Sud degli Stati Uniti. Pensavamo che una barbarie del genere appartenesse al passato, almeno nel mondo Occidentale, che fosse ormai relegata nei libri di storia. Invece ce l’abbiamo in casa nostra, a due passi da stupende località turistiche e quello che portiamo in tavola tutti i giorni è il frutto del lavoro di persone sfruttate, umiliate, vessate, ridotte in schiavitù. Stiamo parlando degli immigrati che raccolgono i pomodori nel Sud Italia, specialmente in Puglia.

Queste persone sono vittima di quello conosciuto come caporalato. I caporali sono quelle persone che cercano e assumono braccianti agricoli per conto dei proprietari terrieri. Sono loro che organizzano e gestiscono il lavoro, raccogliendo per strada su un camioncino alla mattina presto i braccianti pronti per andare a lavorare nei campi, per una giornata lunghissima e faticosissima, pagata una miseria. Sono sempre i caporali che pagano il salario si braccianti. Si tratta di lavoro nero, senza tutele né diritti, pagato due euro all’ora o anche meno. Spesso anche i caporali a loro volta lavorano in condizioni di schiavitù. Ricordano quasi i kapò dei campi di concentramento nazisti. Un imbruttimento che rende l’uomo carnefice dell’uomo.

Gli immigrati che lavorano in nero nei campi del Sud Italia sono per lo più persone arrivate a Lampedusa con i barconi. Persone che si ammazzano di fatica ogni giorno per portare sulle nostre tavole uno dei cibi più consumati nella dieta mediterranea. La storia di uno di loro, Asserid, è raccontata dall’Huffington Post, sul blog di mauro Leonardi. Una storia fatta di abusi e soprusi, turni di lavoro massacranti, botte, umiliazioni e spesso la paga che nemmeno arriva. In tanto cercano lavoro e in tanti sono costretti loro malgrado a subire un trattamento inumano. Mentre le autorità latitano. Per molti non c’è scelta essendo clandestini in Italia e non avendo nemmeno la possibilità di tornare indietro.

Vivono in baracche di fortuna in mezzo ai campi, fabbricate con legna, plastica e rifiuti. Le condizioni igieniche sono pessime e non hanno riparo dal caldo né dal freddo. Non hanno nemmeno cure mediche.

“Mi chiamo Asserid e credo che quest’estate morirò. Mentre tu mangi i pomodori che io raccolgo”, è il titolo del post uscito sull’HuffPost. La storia immaginaria ma reale di un immigrato sfruttato, ridotto in schiavitù e molto probabilmente destinato a morire, nel silenzio dei media.

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