Cani nelle carceri: due cuccioli al penitenziario di Capanne a Perugia

Il penitenziario di Capanne a Perugia ha adottato due cuccioli di razza labrador che saranno assegnati a quattro detenuti i quali dovranno prendersi cura dei cani in un percorso formativo.

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“Quello cui abbiamo assistito oggi è un esempio di positiva partecipazione delle persone detenute ad attività di volontariato sociale, un impegno attivo che ha risvolti umani e sociali di altissimo valore”, ha commentato la vicepresidente della Regione Umbria con delega alle politiche sociali, Carla Casciari.

In cosa consiste il progetto che porta i cani in carcere

Nell’ambito dell’iniziativa Prison puppy raiser (Far crescere un cucciolo in prigione), il Lions Club Perugia Concordia ha consegnato due cuccioli di Labrador dei quali “si occuperanno direttamente i detenuti selezionati per il progetto che, con l’aiuto di istruttori cinofili, non solo si prenderanno cura dei cani, ma insegneranno loro i comandi utili all’interazione con gli umani”.

“Una volta formati, i cuccioli saranno poi donati alla scuola per cani guida Lions. Partecipare a questo progetto da un lato consentirà ai detenuti l’apprendimento di nozioni che potranno tornare utili una volta conclusa la pena per avviare percorsi di autonomia e reinserimento della società, dall’altro avranno sensibilmente contribuito alla socializzazione dei cuccioli anche in vista dell’importante ruolo che andranno a ricoprire come cani guida”, hanno sottolineato gli organizzatori del progetto.

Quello di inserire i cani nelle carceri è un progetto lanciato negli anni Ottanta negli Stati Uniti con lo scopo di aiutare animali e detenuti. Non solo perché in questo modo, i randagi trovavano rifugio e affetto, ma anche come percorso terapeutico.
In Italia, nel 2013, un detenuto aveva chiesto di poter incontrare il suo cane Attila.
Ma il primato, come riporta il quotidiano LaRepubblica, è andato a Caterina, una femmina di American Staffordshire, di un anno e mezzo che è stato il primo cane a varcare i cancelli del carcere Dozza, a Bologna: “Il ragazzo era preoccupato perché temeva he Caterina non lo riconoscesse più, dopo tutti quei mesi di lontananza. Impossibile. Quando lui è arrivato in giardino, all’inizio, lei si è messa a correre. Ma è stato il suo modo di manifestare gioia e contentezza. Dopo gli è saltata in braccio. Pure gli agenti dell’istituto, molto disponibili, le hanno fatto festa. Credo sia stato un esperimento positivo anche per loro, per il carcere”, ha raccontato l’accompagnatrice del cane all’uscita del carcere, ricordando che quando è arrivato il momento di salutarsi, “il cane ha capito e piangeva”.

Caterina all’uscita era impaurita, guardava passare le macchine della polizia penitenziaria e faceva resistenza perché non si voleva allontanare dalla struttura: “Il loro è un rapporto speciale. Il mio ragazzo può telefonare a casa, una volta al mese, come da regolamento. Quando lo fa, chiede sempre di parlare con Caterina. Io metto il viva voce. Lei lo sente. E lo cerca, girando per tutta la casa”, ha raccontato la giovane testimone. 

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