CINEMA: Intervista a Yoji Takeshige, direttore artistico de “La città incantata”

Manifesto_EVENTO_cittaincantata_LRES-page-001Nato a Philadelphia nel 1964, Yoji Takeshige ha studiato alla Tama art school in Giappone. Ha iniziato la carriera allo Studio Ghibli come disegnatore di sfondi per Il mio Vicino Totoro (1988). In seguito ha deciso di mettere alla prova le sue qualità fuori dalla società di Miyazaki, e ha lavorato su alcune prestigiose produzioni come Les Ailes d’honneamise (1987) e Patlabor (1989). Successivamente è tornato allo Studio Ghibli e ha assunto a sorpresa il ruolo di produttore in Porco Rosso (1992). Subito dopo però ha ripreso la matita ed è diventato disegnatore in The Racoon War (1994), Whisper of the Heart (1995) e il classico di Mamoru Oshii, non prodotto da Ghibli, Ghost in the Shell. Yoji Takeshige è stato nominato direttore artistico per il video musicale On the Mark quando Masashi Andô è stato promosso direttore dell’animazione. Tra i due uomini è nato un profondo legame, e spesso lavorano insieme.

Come ha affrontato La città incantata?
E’ stata la mia prima volta come direttore artistico. Contrariamente a quanto si possa pensare a prima vista, il paesaggio di questo film è completamente diverso da quello di Totoro. Qui le immagini si basano soprattutto sulla fantastica immaginazione di Hayao Miyazaki mentre Totoro si rifaceva a luoghi realmente esistenti. Il mio lavoro è stato tradurre in immagini reali le immagini mentali del regista.

Ha lavorato sullo storyboard e sugli schizzi?
No, era Hayao Miyazaki a gestire storyboard e schizzi. Comunque, i suoi schizzi non corrispondevano esattamente alle leggi tradizionali della prospettiva. Per esempio, gli edifici della zona commerciale non erano dritti. La cosa mi ha sorpreso e ho cominciato a correggerli ma lui si è seccato e mi ha detto che avrei capito tutto se avessi visto qualche vecchio edificio giapponese. Ho guardato qualche fotografia e qualche vecchio film e ho notato che in genere gli edifici pendevano un po’ sotto il peso dei tetti in tegole. Non c’erano quasi mai delle linee rette. E così ho ripreso i disegni originali.

Su cosa si è concentrato quando disegnava le ambientazioni?
In genere, faccio dei disegni pieni di dettagli. Questa volta, ho cercato di ridurli al minimo. Miyazaki voleva che mi concentrassi sulle rifiniture ma al tempo stesso non voleva che l’immagine apparisse troppo affollata.

Hayao Miyazaki le ha dato qualche consiglio o direttiva?
Mi ha chiesto di disegnare partendo dal punto di vista di Chihiro. Inoltre voleva che mi divertissi lavorando, il che è piuttosto difficile in quanto si tratta di un lavoro piuttosto serio.

A cosa si è ispirato per creare una città che appartiene ad un altro mondo?
Ai consigli di Miyazaki e agli edifici del parco Koganei. Ci sono molti edifici vecchi in quel parco e le vecchie insegne che descrivono cosa ospitavano.

Si è concentrato molto sulla luce e sui colori.
Anche questa è stata una richiesta di Miyazaki. Ho utilizzato molte sfumature. Per esempio, le tinte tetre del “noren” (le tende appese alla porta) che si trova nella “yuya”, e i violenti colori sul ponte. Abbiamo utilizzato tutte le sfumature possibili e immaginabili di rosso! Naturalmente, per fare spiccare tutti questi colori e queste sfumature, era necessario che la luce non li schiacciasse ma che ne esaltasse i contrasti. Non volevamo una luce fluorescente quanto piuttosto una debole luce rossastra come nel Giappone antico.

Ci sono molte scene in cui la luce è fioca.
Esatto. Per esempio, nella scena in cui i genitori di Chihiro vengono trasformati in maiali, la ragazzina si spinge contro un muro quasi distrutto. Ho reso la scena piuttosto buia a proposito. Pensavo che fosse la maniera giusta per trasmettere al pubblico le paure di Chihiro. La luce svolge un ruolo fondamentale nei film animati e non deve mai essere trascurata o sottovalutata.

Il panorama della città degli dei somiglia per certi versi al profilo di Hong Kong.
Non l’ho fatto a proposito. Volevo evitare il solito effetto che si ha quando si disegnano i profili con i grattacieli. Abbiamo ricreato la tipica illuminazione al neon del passato Per quanto riguarda il paesaggio al di là dal mare, Miyazaki mi ha chiesto di dipingere un panorama sconosciuto che però sembrasse familiare al pubblico. La sua osservazione mi fa capire che forse ci sono riuscito, ma per quanto mi riguarda penso che somigli più a Shanghai.

Ha usato un modello per disegnare lo “yuya”?
No, anche se potrebbe somigliare alle terme di Dôgo dove i dipendenti della società vanno ogni tre anni. Le scale dello “yuya” sono state ispirate dalle foto di Megro Miyabi Joen, soprattutto i motivi sul muro e i soffitti. I quadri del castello di Nijô e tutti gli oggetti che vengono dal quartiere di Gion (il quartiere delle geishe e dei maiko di Kyoto) sono stati usati come punti di riferimento

Quale è stata la scena più difficile da disegnare?
Quella nella quale Chihiro prende il treno e va da Zeniba per salvare Haku. Sebbene la scena non sia molto animata, la cosa più complicata da rappresentare è stata il treno che corre sull’oceano. Sono stati necessari numerosi ritocchi al computer ma all’inizio è stato il mio settore a stabilire il tono da dare alla scena. Un treno che viaggia sull’acqua non è una cosa normale ma i treni e gli oceani sono cose che tutti noi conosciamo molto bene. La scena doveva essere realistica. In un film come La città incantata c’è sempre una sfida di base e cioè rendere credibile l’incredibile.

A cosa si è ispirato per la casa di Zeniba?
Doveva somigliare ad un vecchio cottage inglese con il tetto in paglia. Quelle case esistono ancora e non sono poi molto diverse dalle fattorie giapponesi. La cosa più importante nel disegnare la casa e tutti i piccoli oggetti che contiene era evocare la somiglianza tra Zeniba e Yubaba, pur sottolineando la notevole differenza che esiste tra le due sorelle dal punto di vista morale.

Qual è la sua scena preferita?
La prima scena nella quale l’automobile entra all’improvviso nell’altro mondo. E’ stata perfettamente gestita da Oga, che è riuscito a far risaltare la bellezza della natura evocando al tempo stesso una strana e terrificante sensazione di profondità. Gli ho anche chiesto di fare l’epilogo in modo tale che la scena finale fosse legata con la sequenza di apertura e ci è riuscito con grande stile.

Quali obiettivi spera di aver raggiunto in qualità di direttore artistico di La città incantata?
Quelli che fanno il mio mestiere, quando camminano per la strada in cerca d’ispirazione, a volte si concentrano su una casa, un angolo, un muro e cercano d’immaginare che cosa potrebbe nascondersi dietro l’oggetto che li affascina tanto. Usiamo la nostra immaginazione per svelare i segreti di un luogo che ci attrae, ci incanta. Spero di condividere questa sensibilità e questo mio modo di sentire con il pubblico che vedrà La città incantata.

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