È solo un bambino gracile e con seri problemi di salute, quando sale su un aereo che scavalca l’oceano. Dal campetto del Grandoli, in Argentina, tutto buche, sassi
e pezzi di vetro, conficcato tra palazzoni di cemento, a Barcellona, dove ha sede una delle più prestigiose squadre di calcio del mondo: il Barça. Lo chiamano “la pulce”, “il nanerottolo”, e non sempre con rispetto. Così gracile – ha senso che qualcuno ci
perda tempo, fatiche e soldi? Suo padre Jorge crede di sì.
Un dirigente della squadra crede di sì. Al punto da siglare un accordo su un tovagliolo di carta, al ristorante. È l’inizio di notti passate a piangere. Lontano dalla madre e dal resto della famiglia, che ha riposto tutte le speranze in lui. La partenza per un viaggio che molti intraprendono, ma ben pochi portano a destinazione. Una sfida contro se stesso, cominciata quando palleggiava centinaia di volte senza sbagliare, con qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro. Quando dormiva stringendo un pallone. Leo, passa! Ma Leo non passa. E dribbla uno dopo l’altro gli avversari. Ieri i talentosi ragazzi di Rosario, in Argentina. Oggi i più grandi campioni del mondo, gli assi del Real Madrid, del Manchester, di Juventus, Milan e Inter che sfilano in queste pagine.
Perché il bambino che non passava la palla ha stretto i denti, si è asciugato le lacrime ed è arrivato. Incurante di strappi e fratture, forte nonostante invidie e gelosie. Il bambino che non passava la palla ha alzato al cielo, unico al mondo, quattro Palloni d’Oro. E sta lottando per passare definitivamente alla storia alla testa della Nazionale argentina.
Come nasce una leggenda? Seguendo il cuore. Non arrendendosi mai. È questo che insegna la storia di Lionel “Leo” Messi. Il bambino che non riusciva a crescere, oggi è un gigante.