CINEMA: Intervista a Carlo Verdone, regista del film “Sotto una buona stella”

220px-Carlo_Verdone_Che posto occupa questo film nella tua filmografia? A che punto della tua vita arriva “Sotto una buona stella”?

“Sotto una buona stella” affronta un argomento che non avevo mai trattato in maniera così diretta e così approfondita, il tema dello scontro generazionale padre-figli. Io interpreto il ruolo di un papà che non è in grado di comprendere inizialmente i propri figli essendosi allontanato da essi, quando erano piccoli, in seguito a un divorzio. Ed è la prima volta che affronto la tematica di un rapporto difficilissimo tra un uomo e i suoi figli. Si tratta di un argomento davvero molto attuale, perché la frattura tra genitori e figli è oggi un’emergenza, dovuta ai ritmi del lavoro, a una generalizzata distrazione. Per quanto mi riguarda faccio sempre il parallelo con la famiglia che ho avuto io, con le attenzioni che mi sono state date e che ho cercato di trasmettere ai miei figli. Poi però intorno a me vedo molti amici, molti padri e anche molti figli che purtroppo soffrono di questa assenza di cure e attenzioni.

Cosa volevi comunicare al pubblico con questo film? Cosa ti premeva esprimere in particolare?

Innanzitutto per me è fondamentale raccontare sempre gli umori del momento, del periodo che stiamo vivendo, quindi non potevo non sottolineare l’attuale disagio dal punto di vista etico, dal punto di vista del lavoro e anche in quello sentimentale. Oggi purtroppo manca il lavoro, mancano direttive etiche, c’è tanta confusione, grande sbalestramento sia nei giovani che negli adulti. E c’è tanta facilità nello sbagliare rapporto sentimentale. Si consuma in fretta e, spesso, non si ha più pazienza perché non ci si ricorda che amare una persona è anche un lavoro, che porta soddisfazioni enormi ma anche qualche sacrificio. Ho voluto raccontare questa sorta di solitudine. Si tratta di argomenti tipici di un film serio, e l’abilità mia come regista, ma anche degli sceneggiatori, era proprio cercare di portare questi argomenti sul terreno di una commedia brillante, contenente comunque dei momenti in cui riflettere su questi temi. Spero di esserci riuscito.

Come hai scelto il tuo cast?

Innanzitutto ho sempre lavorato con le migliori attrici italiane, ho avuto il privilegio di esaltarle; credo di essere stato abbastanza bravo nel sottolineare il talento di ciascuna delle interpreti che hanno recitato con me. Paola Cortellesi era un’attrice che mancava sul mio taccuino, ci tenevo in maniera particolare ad averla in un mio film. Ricordo bene la sera in cui fui ospite da lei a Zelig durante la promozione di un mio film, e in trasmissione (mentre eravamo in diretta) le dissi: “Paola, se scrivo un film per noi, tu ci sei?”. E lei mi rispose: “Non ci penso due volte, certo che ci sono!” Da quella sera in cui mi abbracciò, l’idea era scrivere un film con un tema che mi interessasse e in cui ci fosse anche lei, perché era desiderio di entrambi lavorare insieme. Inoltre Paola è un’interprete che sta maturando sempre più, è l’attrice del momento direi dal punto di vista della commedia. Ho fatto un ottimo affare, ma spero lo abbia fatto anche lei perché ho cercato di curarla nel modo migliore possibile. Per quanto riguarda Tea Falco e Lorenzo Richelmy, devo dire che sono due ragazzi assolutamente nuovi. Per Richelmy prevedo un futuro pieno di successo, brillante; Lorenzo è un ragazzo che ha la fortuna di avere una faccia molto bella, interessante e intelligente. Ha dei tempi recitativi molto maturi per i suoi 22 anni; è riuscito a rendere la figura di mio figlio vera, ed è stato molto efficace nelle scene in cui ci sono scontri tra noi due, ma anche quelle in cui ci sono momenti di tenerezza. È un attore che non ho fatto nessuna fatica a dirigere, sembrava già molto navigato, con le idee ben chiare. Mi ha davvero colpito molto. Per quanto riguarda Tea, devo ammettere che sono sempre stato innamorato del primo piano di questa ragazza che vidi alcuni anni fa sul web. Aveva fatto uno showreel completamente pazzo, in cui sembrava recitasse parti di film sperimentali underground fine anni 60; mi colpiva il suo azzardo nel presentarsi in maniera così atipica. Io definirei Tea come “l’accento astratto del film”: è una ragazza con un mondo tutto suo, un primo piano interessantissimo, che esprime profondità, malinconia, ma anche grande luce. Ogni volta che cambia espressione riesce a comunicare qualcosa, il suo è un volto che esprime già tantissimo. In più è una ragazza che ha un tipo di recitazione tutto particolare, tutto speciale: non bisogna violentare il suo mondo e il suo modo di essere. E’ assolutamente atipica nel dire le cose e nel farle come attrice, ma proprio in ciò risiedono la sua forza e il suo fascino. È singolare: è una ragazza assolutamente vera nel panorama di oggi. L’ho scelta per questo, e perché di ragazze così ne ho conosciute molte, ma con il suo fascino ben poche.

Cosa significa per te essere “Sotto una buona stella”?

Per me significa due cose: innanzitutto avere la salute (mia e delle persone a me care), e poi vedere i figli, ma direi tutti i giovani di buona volontà, fare qualcosa di concreto nella vita. Solo allora ti senti appagato, diventi col tempo sempre più tifoso loro e sempre meno tifoso di te stesso: è una sorta di passaggio di testimone molto importante. Per me essere “sotto una buona stella” è avere soddisfazioni da parte dei figli, vedere che procedono attraverso un’etica forte, attraverso delle soddisfazioni nel loro lavoro importanti. Va da sé che se non c’è la salute, i discorsi stanno a zero, ed è anche vero che nella vita una piccola dose di buona sorte ti deve “illuminare”.

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