CINEMA: Intervista a Thierry Flamand, scenografo del film “La bella e la bestia”

1507999_577719728985461_153724426_nQual era per lei la posta in gioco di “La Bella e la Bestia”?

Conoscevo Christophe per aver lavorato con lui sulla preparazione di un nuovo adattamento di “Fantomas”. Purtroppo, però, questo progetto non si è mai sviluppato. Per “La Bella e la Bestia”, si è rivolto nuovamente a me. Io avevo da poco firmato gli scenari del videogioco “Heavy Rain”. Christophe sapeva che grazie a quest’esperienza non sarei stato refrattario all’utilizzo del digitale e del 3D nella creazione dell’immagine finale di una scenografia. Sempre più film consacrano una parte importante del loro budget a questa tecnologia. È importante controllare i meccanismi che uniscono scenari costruiti e estensioni digitali. È tuttavia abbastanza raro trovare in Francia un progetto che coniughi i due approcci. Per “La Bella e la Bestia” è stato imprescindibile.

In che modo queste tecnologie influenzano il vostro lavoro?

Il digitale non è che un nuovo strumento, un’estensione della matita. Io di formazione sono architetto ed è disegnando che ricerco lo spazio per le scenografie. Partendo dal disegno, non ho alcun problema ad immaginarle prolungate con dei volumi digitali. Permette, anzi, di sognare e immaginare più a lungo. In compenso, bisogna bene informare le équipe della postproduzione digitale sullo spirito che si vuole dare alle scenografie. Le numerose decorazioni costruite in studio sul film indicano l’atmosfera e lo stile architettonico da seguire, e noi abbiamo costituito un vasto dossier di riferimento, che è servito tanto alla concezione delle scenografie “reali”, che alle loro estensioni. Non sono stato ingaggiato per seguire passo dopo passo la postproduzione, il budget non lo permetteva, ma il team gestito da Louis Morin, il supervisore digitale presente durante tutta la preparazione e le riprese, ha realizzato delle meraviglie. Quando vedo il risultato, sono impressionato, perché è davvero fedele allo spirito che cercavamo, e le mie preoccupazioni, legate ad altre esperienze passate, sono scomparse alla vista delle prime immagini.

Qual è la parte reale e quale la parte virtuale?

Su “La Bella e la Bestia” una grande quantità di scenografie sono interamente «reali»: il salone d’ingresso, la sala da pranzo, la camera di Belle, il rifugio della Bestia, il cottage interno e la sua facciata. Tutti gli elementi di decorazione nei quali gli attori si muovono sono comunque parzialmente costruiti, la scala monumentale e quella del giardino, il ponte che permette l’accesso al castello, i corridoi e l’albero sul quale Belle si arrampica per contemplare la tenuta.  Per quanto riguarda la sala da ballo e la stanza che porta allo specchio magico, non c’era che qualche colonna e il pavimento. Gli spazi prendevano forma definitiva dopo la moltiplicazione di questi elementi. Per la sala da pranzo, le estensioni riguardavano solo i soffitti, i muri erano infatti costruiti fino a 6,5 metri d’altezza, il che permetteva di inquadrare tutto il tempo gli attori senza bisogno di sorpassare le linee prestabilite. Per il cottage, il tetto è stato aggiunto ed il giardino ingrandito, solo l’orto ed il suo sentiero sono stati costruiti. Le scenografie legate all’esterno del castello sono state riprese in degli studi completamenti verdi. A parte qualche piano girato nel parco di Sans Souci a Postdam, nelle foreste attorno Berlino, gli attori, e a volte i loro cavalli, camminavano su della moquette verde, poiché l’erba alta sarebbe stata aggiunta in postproduzione. È abbastanza inquietante per gli attori perché recitano senza appiglio, senza atmosfera. I loro soli punti di riferimento sono i disegni fatti dopo le inquadrature e qualche palla da tennis. È davvero strano!

Come ha deciso lo stile architettonico?

Ho passato un bel po’ di tempo ad informarmi. Nella versione di Christophe, ci rifacciamo al racconto originale che spiega perché il principe è diventato la Bestia. Qualche scenografia è dunque legata al castello prima della maledizione. Per questo motivo volevamo assolutamente evitare il lato medievale scarno, stile “L’amore e il diavolo”, ed andare molto al di la dell’impressionismo della versione di Cocteau; volevamo trovare uno stile proprio alla versione di Christophe. In questa versione il castello ha subito anch’esso gli effetti malefici del sortilegio, un vero tsunami vegetale di rosai l’ha invaso. Volevamo ci fosse già un’anticipazione di questo nell’architettura e nell’ornamentazione. Ci siamo dunque ispirati più che altro allo stile manuelino, una transizione portoghese tra il gotico e il rinascimento. Questo stile corrispondeva perfettamente a ciò che cercavamo, con le sue decorazioni complesse, le sue colonne avvolte, le sue modanature incredibilmente ricche di accordature, lacci ed arabeschi. Ho cominciato a disegnare tutte queste cose, in particolare le colonne della sala da pranzo, ma questa risultava con dei tratti di femminilità troppo accentuata. Le idee di Christophe evolvevano, poi, attorno ad un principe cacciatore, intenso e molto virile. Abbiamo quindi reso le colonne più feroci e per questo ho trovato nella cappella di Rosslyn, in Scozia, uno stile vicino al manuelino, ma più incisivo. Però non ero ancora soddisfatto, ed ho finito per trovare un compromesso aggiungendo delle tacche ispirate a una colonna mesopotamica molto antica. Il cammino è stato lungo, siamo partiti da uno stile molto floreale per arrivare a qualcosa di molto più velenoso. Come in Cocteau e la celebre balaustra del castello di Raray, il rapporto con la caccia doveva essere onnipresente. Abbiamo lavorato molto sulla statuaria animale, molto spesso violenta, ed il camino ne è il parossismo. Christophe ama molto il lato colossale del barocco, e mi ha davvero messo con le spalle al muro, il risultato è uno stile piuttosto eclettico, niente di davvero medievale, gotico o rinascimentale. Niente d’edulcorato o leggero. Voleva veramente la forza, che troviamo, credo, nell’insieme del castello. Solo la camera di Belle si avvicina ad uno stile puramente rinascimentale. Il suo stile evoca molto un’anatomia femminile piena di curve, a differenza del resto. Nelle scenografie c’è spesso questo confronto tra il mascolino e il femminile.

Tra l’ideazione e la realizzazione, lei era a suo agio?

L’ideazione è iniziata a Gennaio 2012. A quel tempo non sapevamo ancora dove il film sarebbe stato girato, Montreal o Berlino? Abbiamo abbozzato la maggior parte delle scenografie con la mia prima assistente al disegno fino alla fine di Febbraio. Successivamente abbiamo creato uno studio grafico a Montreuil, una decina di persone, disegnatori, grafici e scultori, ed è stato lì che le cose si sono davvero delineate, producendo un dossier completo sulle scenografie, con piani, documentazioni, disegni delle sculture e bozzetti della sala da pranzo.
La produzione si è installata a Berlino nel Luglio 2012, dove abbiamo creato un nuovo atelier decorativo con i tedeschi, per i piani di costruzione dettagliati, bozze più precise, modelli di sculture, ecc.
Sapendo che bisognava cominciare le riprese in Novembre, avevamo davvero poco tempo per costruire una quantità enorme di scenografie. La sala da pranzo è stata oggetto di un lavoro intenso tra Settembre e Ottobre, mentre lavoravamo contemporaneamente su altri scenari. Una volta pronta, ci abbiamo girato 8 giorni prima di smantellarla immediatamente per costruire, al suo posto, la sala da ballo e poi il cottage. Avevo l’impressione di consegnare delle scenografie da opera al ritmo d’un telefilm. Il ritmo, in effetti, è stato molto sostenuto. Mi hanno detto che era meglio così che il contrario.

Qual è il vantaggio di girare a Babelsberg?

È una cosa formidabile. Innanzitutto c’è l’atmosfera: ci diciamo che abbiamo girato sul set di “Metropolis”, per forza è emozionante. Ci sono tre grandi set, altri più piccoli, delle zone industriali attrezzate a soli 4 minuti, che contengono due grandi set insonorizzati e tutti gli atelier necessari.
Questo permette delle rotazioni delle scenografie, abbiamo occupato tutti i set. Non c’è nulla d’equivalente in Francia, avremmo potuto fare le riprese vicino Parigi in luoghi differenti, ma sicuramente con grandi problemi di logistica.

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